In piazza sono scese anche le loro famiglie. E così oltre 400 manifestanti si sono ritrovati in piazza Roma a Catania, stamattina, per raccontare la chiusura del call center Qè di Paternò. Un’azienda che dà lavoro a quasi 600 persone (275 a tempo indeterminato, 300 a progetto) e la cui chiusura è ormai difficile da scongiurare. Colpa dei circa otto milioni di euro di debiti che l’azienda di Manerbio ha accumulato negli anni e che adesso potrebbero costare il contratto a centinaia di giovani dell’hinterland etneo. «Ho 32 anni, da quasi dieci lavoro nei capannoni di contrada Tre fontane – racconta Irene – Si può dire che io in quest’azienda ci sono cresciuta. Avere perso il lavoro rende tutto più difficile, e per chi ha figli la questione rischia di diventare insostenibile. Ci sono famiglie costruite sulle spalle di un’azienda che adesso chiude».
Assieme ai lavoratori sono scesi in strada a manifestare i rappresentanti di Comuni di Paternò, Belpasso e Biancavilla. «Non è tollerabile che nella mente di alcuni questa nostra Sicilia sia solo una terra di consumo, dove venire a prendere quello che serve per poi lasciare un vuoto», sostiene il sindaco belpassese Carlo Caputo. A sfilare accanto a lui anche il senatore Salvo Torrisi e i deputati Giovanni Burtone e Luisa Albanella. Tutti forti delle loro interrogazioni parlamentari presentate per chiedere l’intervento del ministero per scongiurare quella che, come detto dal primo cittadino paternese Mauro Mangano, rischia di essere trattata come una «crisi occupazionale di serie B».
I manifestanti, il cui serpentone ha attraversato via Etnea ed è arrivato fino a piazza San Domenico, hanno ottenuto un appuntamento per venerdì prossimo con la vicepresidente della Regione Siciliana Mariella Lo Bello. La vertenza Qè, intanto, arriverà anche alla commissione parlamentare per il Welfare e sul tavolo dell’ex ministro del Lavoro Cesare Damiano. Resta da chiarire un aspetto fondamentale per i lavoratori: il pagamento delle spettanze. I sindacati hanno fatto partire i decreti ingiuntivi per recuperare almeno una delle mensilità – quella di giugno – delle tre che i dipendenti non hanno mai ricevuto.
Una procedura giudiziaria necessaria per tutelare almeno in parte i licenziati. Prima dell’inizio di ottobre un altro spiraglio potrebbe essere aperto dalla società DM Group, che si è detta disponibile ad acquistare due delle commesse del call center Qè. Un acquisto parziale che porterebbe alla salvezza per quasi un centinaio di posti di lavoro. Ne rimarrebbero fuori più di 500. Mentre il valore dell’impresa continua a colare a picco: a dicembre scade il contratto stipulato con l’Inps e l’ente nazionale non ha ancora realizzato la gara d’appalto. Un altro lavoro che, se perso, potrebbe calare come una scure sui lavoratori paternesi. I quali, nel frattempo, incassano la solidarietà dei concittadini che, in massa, sui social usano l’hashtag #iosonoqè.
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