‘Va e vedi’: la metafora e il disincanto

Titolo: Va e vedi (Idi i smotri)

Regia
: Elem Klimov

Sceneggiatura
: Ales Adamovich, Elem Klimov

Fotografia
: Aleksei Rodionov

Musica
: Oleg Yanchenko

Montaggio
: Valeriya Belova

Interpreti
: Aleksei Kravchenko, Olga Mironova, Liubomiras Lauciavicius

Nazionalità
: Unione Sovietica, 1985 – Durata: 142’ 
 
Una coppia di bambini, che scavano come meglio possono, alla ricerca di un fucile. Uno dei due lo trova. Si apre con questa sequenza “Va e vedi”, pellicola che nonostante la sua “età”, oggi più che mai si ripropone, all’occhio ormai smaliziato dello spettatore, come una intensa riflessione sul massacro fisico e psicologico della guerra. La lettura delle vicende relative allo sterminio operato dalle truppe naziste in Bielorussia trova un supporto nella paradigmatica vicenda di Florian, giovane protagonista il quale, animato dalla voglia di mettersi in discussione, “fucile in braccio e testa sulle spalle” (come dice uno dei personaggi nella parte centrale del film) parte per un viaggio senza ritorno verso la follia. 

L’opera ci mostra una compattezza narrativa sorprendente, nonostante la durata considerevole. A tale unitarietà del discorso filmico si perviene attraverso una serie di elementi: sicuramente il plot, che si dipana in maniera equilibrata, sostenuto da dialoghi sempre incisivi e mai eccessivi o retorici, talvolta quasi sognanti, allucinati; altro elemento fondamentale, per virare sull’aspetto tecnico-formale, l’alternanza di carrelli e steady-cam, i cui effetti, opportunamente dosati, e giustapposti agli stranianti primi piani, rendono quanto mai efficace la narrazione per immagini. Ultimo fattore su cui soffermarsi, ma di certo non meno importante, le interpretazioni degli attori principali, su tutti Aleksei Kravchenko, con i suoi sorrisi che mutano in ghigni, in pianto, in stupore, contribuisce ottimamente a ultimare il quadro della pellicola di Klimov, un quadro che ci restituisce una corale disperazione, sintomo di una impressionante desolazione, sia essa geografica, fisica, biologica, interiore.

In conclusione, un’opera di grande rilievo, la quale ci spinge ancora una volta a ripensare le ragioni della violenza, senza perdere di vista una essenziale prospettiva storica e metastorica, in cui, ed in questo lo splendido finale assurge a sequenza madre, si esorcizza l’orrore nazista per mezzo di una regressione verso le radici; origine del male, origine della vita.

Alessandro Puglisi

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