UZEDA – STELLA (2006, Touch & Go / Wide)

TRACKLIST:
1 Wailing
2 What I Meant When I Called Your Name
3 This Heat
4 Time Below Zero
5 From The Book Of Skies
6 Camillo
7 Gold
8 Steam, Rain & Other Stuff

Rappresentanti italiani di quello stile/genere di matrice prettamente statunitense che, nel corso degli anni, ha assunto la denominazione di “noise”, i catanesi Uzeda si riaffacciano sul mercato discografico a ben otto anni di distanza da quel “Different Section Wires” (1998) considerato da molti l’apice della loro ormai ventennale esperienza artistica nonché di tutto un modo (a dirla tutta, circoscritto) di fare rock in Italia.

E lo fanno con Stella, otto tracce, una per ognuno degli anni di attesa, ed ognuna talmente intensa da potersi tranquillamente sobbarcare da sola il peso del tempo trascorso. Anche per questo nuovo capitolo della loro carriera, il quarto per la precisione, gli Uzeda hanno deciso di seguire gli insegnamenti impartiti illo tempore da Sonic Youth, Big Black e Shellac; e non è un caso se, dei tre mostri sacri citati, ben due (ma anche gli Youth c’hanno avuto a che fare) rispondono direttamente al nome di Steve Albini, guru del rock indipendente made in U.S.A. che, dopo l’album del ’98, in “Stella” lavora nuovamente con i quattro siciliani in veste di produttore e consigliere di fiducia. E la mano di Albini si sente forte in tutta la sua competenza, riuscendo a dare a “Stella” quelle sembianze grezze e soffocate che solo lui sa creare. Il continuum sonoro col precedente album è evidente, la sessione ritmica composta dal basso granitico di Raffaele Gulisano e dalla cruda batteria di Davide Oliveri va a formare, come da copione, la base viscerale su cui poggiano le abrasive schitarrate di Agostino Tilotta nonchè la voce di Giovanna Cacciola.

Se Gulisano e Oliveri la fanno da padroni in brani come What I Meant When I Called Your Name e Time Below Zero, mentre Tilotta dà libero sfogo allo stridere della sua sei corde nell’opener Wailing ed in From The Book Of Skies, è proprio il cantato della Cacciola a fungere da ideale filo conduttore del lavoro (così come dell’intera produzione a nome Uzeda): ansiosa, inquieta, caotica, esplosiva e furibonda nel suo incedere, la voce di Giovanna continua dopo un paio di decenni a non sfigurare al cospetto di ben più acclamate colleghe d’oltreoceano.

Alla luce di tutto ciò, della stima che nutriva nei loro confronti il compianto John Peel e del particolare, non irrilevante per una band italiana, che gli Uzeda incidono niente poco di meno che per la Touch & Go Records, ci si chiede ancora perché la critica nostrana si ostini a non tributare loro le dovute e meritate attenzioni.

Emanuele Brunetto

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