Uno scherzo da ragazzi

 Cosa c’è nelle facce dei ragazzi macellai di Verona? Che cosa si trova nelle facce da bullo dei compagni di scuola di Viterbo? Normalità, visi normali, sguardi normali, la violenza banale, la banalità del male, direbbe Hannah Arendt. Perché? Cos’altro dovremmo trovarvi? Segni di appartenenza, borchie, rasature, tatuaggi? Ma qui quella che si esprime è invece la provincia dell’anima. Il provincialismo che ha bisogno del gruppo per sfogarsi, che ha bisogno della vittima a portata di mano per divertirsi o per affermarsi appena un po’, in discoteca, al pub, a scuola.

Sono facce per bene, facce d’angelo, ma dall’altro canto anche il protagonista di Arancia Meccanica, spogliato del travestimento, era un povero sfigato. La sua punizione sembrava quasi non avere nulla a che fare con la sua mediocrità, con la sua pochezza.

Di cosa sono frutto queste facce? Della camera dei ragazzi con i puffi, magari mescolati con qualche bandiera di destra, magari no, del mammismo italiano, del provincialismo del benessere, di un’Italia ormai tutta diventata provincia, uscita dal mondo rurale che ha conquistato le città piccole e medie e vi si esprime con i mezzi che può: pettegolezzo, piccole meschinità, senso del noi, del noi rozzo e minuto, quello del dialetto inteso come esclusione di tutti gli altri.

E’ un sentimento normale, in fin dei conti che male c’è a essere provinciali, domestici, a pensare che tutto è casa nostra, e guai a chi ci sporca lo zerbino. E’ la meschinità normale di chi prende la badante per la vecchia mamma e poi però la disprezza perché ci toglie il lavoro a noi, di chi va a nigeriane, ma le disprezza perché non sono come noi.

Piccolo mondo antico su cui i politici giocano i propri slogan, convinti di avere a che fare con chi sa quale potenziale e poi ritrovandosi nelle mani un paese immaturo, ritardato mentalmente e culturalmente. E’ l’idiozia dei film di Lars Von Trier, dei cattivi che non sanno nemmeno di esserlo, perché l’anima non si sono mai accorti di averla. E’ la provincia di tutta Italia che diprezza gli intellettuali, a destra e a sinistra, che pensa che i libri complicano la vita e che sapere le lingue serva a rimorchiare e indirizza i propri figli verso una cornice che non li allontani mai troppo dalle gonne di mamma.

Queste facce sono le stesse al nord e al sud, somigliano ai figli dei mafiosi e dei camorristi, anche loro immersi nel bambagiume di un benessere che i loro padri hanno raccolto. Queste facce puliscono le vite dei loro padri e delle madri, proprio come si ripulisce il denaro sporco investendo in boutique e pub. Sono facce non diverse da quelle adolescenziali che campeggiano nei grandi cartelloni della moda.

Sono casa, scuola, paese, sono anticittà, soino la crudeltà della campagna che non ha mai sopportato altro che i rapporti controllati e i territori controllati, sono la ferocia dei fighi, di quelli che sanno sempre essere cool, ma poi non troppo, c’è sempre una mamma che perdona da qualche parte.

Se è vero che la prima cosa che quelli che entrano per reati di mafia all’Ucciardone si fanno tatuare sul braccio è un asso di bastone con su scritto “Mamma Perdona”, allora questo motto vale per tutta l’Italia di oggi. La crudeltà è uno scherzo da ragazzi, in fin dei conti non si cade mai fuori dal giro, nemmeno ammazzando un compagno di banco. Sono facce che si somigliano tutte e che per un momento il fuoco della cattiveria illumina, ma che ricadono subito dopo nel pozzo patetico della inutilità del benessere.

[Fonte: La Repubblica – 06/05/2008]

Franco La Cecla

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