«In sette anni abbiamo perso il 97 per cento dei giovani ricercatori. Siamo l’unica categoria alla quale è stato prorogato il blocco degli scatti stipendiali. Si riducono risorse e si usa la premialità per costringere a una lotta per la sopravvivenza gli atenei. Così si penalizzano le nuove generazioni». Attilio Scuderi, docente del dipartimento di Scienze umanistiche, parla di un mondo – quello dell’università italiana – «destinato alla morte. Tutti abbiamo capito ormai che stiamo chiudendo», afferma con amarezza. Per cercare di sensibilizzare governo e ministero dell’Istruzione, a livello nazionale è in corso la protesta #StopVqr che mira a bloccare la Valutazione della qualità della ricerca (Vqr) 2011-2014, lo strumento che permette al Miur di distribuire quote sempre più consistenti dei fondi statali secondo un sistema premiale molto contestato.
Catania è uno degli atenei più vivaci sul fronte della protesta. Gli interi dipartimenti di Scienze umanistiche, Scienze della formazione, Scienze del farmaco, Chimica, Scienze politiche, Matematica e Scienze hanno votato delle mozioni per bloccare la Vqr. A queste si aggiungono le singole adesioni, là dove le strutture non hanno aderito, come a Giurisprudenza. «Vogliamo una valutazione vera, che non uccida – dice il docente – Il sistema oggi prevede un controllo fatto in maniera discrezionale, senza tenere conto del quadro completo». Una delle contraddizioni è la mancanza di un capitolo dedicato alla didattica. «Dobbiamo giudicare non solo la ricerca, ma anche l’insegnamento. Dove sono gli studenti in queste valutazioni?», si chiede Scuderi. I dati analizzati dal docente sono sconfortanti: «Il diritto allo studio in Italia costa 600 milioni, in Germania quattro miliardi e in Francia 3,6 miliardi».
A vigilare dovrebbe essere l’agenzia nazionale di valutazione della ricerca Anvur, «ma è uno strumento politico», sottolinea il professore. «La riduzione di risorse che non garantisce la sopravvivenza del sistema». Un settore già gravato dal blocco del turno over – che comporterà una riduzione nell’accesso da parte di nuove matricole – e dalla riduzione delle risorse. «I nostri stipendi verranno sbloccati dal 2016, ma non è stato riconosciuto il pregresso ai fini della ricostruzione della carriera. In numeri, sono stati tolti centomila euro a un docente medio. In pratica la sua intera liquidazione». Secondo Scuderi «è semplice tagliare sull’università. Si è fatto risparmio su quello che viene bollato come luogo di baronaggio, di etica discutibile». E prosegue: «Ci sono stati casi di gestione malata, ma l’università è fatta nella stragrande maggioranza da gente che si toglie la vita per questo mestiere, con stipendi più bassi d’Europa».
Al docente del Disum fa eco il rettore di Unict Giacomo Pignataro. «Se vogliamo uscire dalla retorica del sistema che non riesce ad attrarre talenti dall’estero, questo è uno dei nodi – spiega – Abbiamo stipendi che non sono competitivi né a far tornare i nostri studiosi né a farne arrivare di nuovi». Pignataro, eletto da poco meno di un mese nella giunta esecutiva della Conferenza dei rettori delle università italiane, parla di «una questione, quella della valutazione, molto delicata. Come Crui abbiamo chiesto di posticipare la Vqr per avere chiarimenti sulla metodologia e molte delle istanze presentate dai dipartimenti già sono state rappresentate. Ne abbiamo parlato anche nelle scorse riunioni in senato accademico». A livello locale, per supportare gli scatti stipendiali nel 2016, «abbiamo disposto una copertura da due milioni di euro». Ma in ogni caso «si ripartirà da dove siamo rimasti – sottolinea – Quello che è andato perso non potrà essere recuperato».
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