Dal prossimo anno accademico, i fuorisede siciliani che torneranno a studiare in un ateneo dell’Isola potranno beneficiare di una borsa di studio di 1200 euro equivalente all’abolizione delle tasse universitarie. È l’ultima trovata della Regione Siciliana per fronteggiare le difficoltà economiche post-pandemia e provare a fare rientrare i tanti giovani cervelli siciliani in fuga. A sondare gli umori dei giovani palermitani, però, il timore è che la risposta sia presto detta: «Manco se mi pagano». Letteralmente.
A oggi, dei 54mila studenti fuorisede in circa 10mila hanno beneficiato dei fondi che il governo regionale ha messo a disposizione già durante i mesi di lockdown: un contributo di 400 euro dell’Ersu di Palermo, un bonus affitti di 500 euro per i fuorisede rimasti sull’isola durante la quarantena e uno di 800 euro per gli iscritti in atenei non siciliani, con residenza all’estero o nel resto di Italia. Ed è proprio a questi ultimi che si rivolge la terza misure dal valore di 4 milioni di euro, a patto che decidano di lasciare gli atenei esteri o del Nord.
«Chi ha scelto di andare fuori l’ha fatto in maniera ponderata – commenta Roberta, 22 anni, studentessa di Relazioni internazionali a Torino – i 1200 euro possono essere un incentivo per quelle famiglie che non riescono più a mantenere il figlio fuori, un supporto in questo periodo di crisi, ma comunque un palliativo». Che, secondo la studentessa, non risolverebbe i problemi alla base della scelta di andare a studiare fuori. Su tutti: un’offerta formativa poco appetibile e limitata, soprattutto in termini di specialistiche e master, il difficile inserimento nel mondo del lavoro, la sproporzione tra teoria e pratica – con netto vantaggio della prima – dei corsi e il bisogno di indipendenza.
Senza trascurare una questione di propensioni personali e ambientali. «Non ci penso nemmeno a tornare a studiare in Sicilia – dice Luca, 22 anni, che studia Marketing & digital communicationa Roma – non mi piace stare a Palermo, non ha mai fatto per me. E adesso che sono uscito dalle quattro mura di casa mia ho confermato il sospetto». Ilaria, 23 anni, collega di Luca, si è laureata in Scienze delle comunicazioni nell’ateneo palermitano, ma ormai da un anno vive nella capitale. «La Sicilia è la mia terra – spiega – ma non lascerei mai il posto in cui studio. Credo che Roma e l’università che frequento potrebbero valere la mia formazione più di un soldo».
Ilaria non è delusa dalla triennale nel capoluogo siciliano, a cui però rimprovera l’eccessivo impianto teorico dei corsi di laurea specialistica: «Ho incontrato tanti ragazzi da atenei di tutta Italia e molti non sono preparati come noi. Ma la specialistica deve prepararti al mondo del lavoro. Uno dei miei docenti a Roma è il direttore marketing di Tim e, durante il corso, ci ha coinvolti in un progetto per l’azienda. A Palermo sarebbe stato impossibile». Le fa eco Luisa, 23 anni, studentessa di Comunicazione Ict e media a Torino: in ateneo progetta robot «e in futuro faremo laboratori concreti di social media management e programmazione app android. Ci permettono di vagliare tutti i campi possibili ed è una cosa che mi piace da impazzire. È molto pratico come corso».
Certo, essere fuorisede non è semplice. «Sicuramente se Unipa avesse fornito più scelta e maggiore qualità nei corsi ci avrei pensato non due ma quattro volte prima di andarmene. Più che dare 1200 euro per far tornare i ragazzi – sottolinea – dovrebbero trovare altri modi per tenersi quelli che hanno già, rendendo ad esempio conformi tutti i piani di studio». Della stessa idea è anche Lorena, 22 anni, che per studiare Giornalismo si è dovuta trasferire a Parma. «In Sicilia non abbiamo lauree magistrali in Giornalismo. I 1200 euro mi farebbero molto comodo e sarei disposta a trasferirmi di nuovo giù, ma non posso rinunciare agli studi e cambiare completamente percorso».
Anche Federica ed Edoardo, entrambi 23enni, sarebbero rimasti volentieri negli atenei siciliani, ma «purtroppo l’offerta formativa delle specialistiche è molto carente». «Se dovessi decidere di rinunciare adesso – commenta Federica – avrei la sensazione di aver sprecato sia il mio tempo che la fatica economica di mantenermi questi mesi fuori casa. Non lo farei mai». «Spesso i pregiudizi li creiamo noi stessi: io non ho scelto Urbino perché sia meglio di Palermo, più organizzata o ci sia più lavoro. È solo una questione oggettiva di offerta formativa, che non cambia con un incentivo economico».
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