Una marcia per il lavoro, la proposta della Cgil «In 15 anni non ha aperto neanche un’impresa»

«È come se fossimo sul Titanic e, mentre si affonda, l’orchestra continua a suonare». La metafora sarà un po’ abusata ma rende bene l’idea della drammatica situazione lavorativa nella provincia di Palermo. A lanciare l’allarme è Saverio Cipriano, coordinatore regionale dell’area Democrazia e Lavoro della Cgil. I dati d’altra parte parlano chiaro: in Italia il Pil non è mai cresciuto significativamente dai tempi della crisi, mentre in Sicilia il tasso di disoccupazione resta tra i più alti d’Europa. E a Palermo la situazione è altrettanto drammatica. Tanto che l’area collocata più a sinistra all’interno del sindacato pensa a una marcia per il lavoro.

«Negli ultimi 15 anni non è nata una nuova sola media o grande impresa in provincia  – afferma Cipriano – Termini Imerese è uno dei casi più emblematici di desertificazione industriale tra la Fiat che se n’è andata e l’abbandono di Enel. Ma non è che Carini o Brancaccio siano messe meglio. A Palermo per esempio l’unica azienda con più di 100 dipendenti è rimasta Fincantieri: ma è possibile che una città di quasi 700mila abitanti possa vivere solo col pubblico o col terziario avanzato, d’altra parte quasi sempre mal pagato e frustrato?». 

Allo stesso tempo il sistema pubblico non regge più: la Regione è stata praticamente commissariata dallo Stato e l’ex provincia non vede soldi da anni. L’unico segno positivo, forse, viene dalle stabilizzazioni dei precari avviate da molti Comuni della provincia grazie alla legge Madia. O no? «Non proprio – osserva Cipriano –  Si tratta di dipendenti che comunque lavorano 24 ore alla settimana, come fossero part-time. Abbiamo Comuni come Belmonte Mezzagno dove i dipendenti pubblici non vedono lo stipendio da otto mesi, o come Piana degli Albanesi dove il debito pubblico è più alto dell’intero valore immobiliare del paese. Ecco perché noi proponiamo una marcia per il lavoro. Per mettere al centro dell’attenzione questi temi finora sottovalutati. Mi pare infatti che manchi una reazione popolare adeguata, così come da parte delle organizzazioni di massa». 

Lo scorso 19 dicembre, al convegno Noi, il Mediterraneo 12 mesi l’anno, il presidente dell’autorità di sistema portuale del mare di Sicilia Occidentale, il dottor Pasqualino Monti, aveva assicurato che «ci sono colloqui in corso con un grande gruppo industriale per riavviare la produzione nell’ex stabilimento Fiat di Termini Imerese» e che «stiamo lavorando insieme all’amministrazione giudiziaria della Blutec, nonché sul porto di Termini che contribuirà a rendere l’area più competitiva». Da allora, però, è passato un mese e sul sito industriale termitano non si registrano altre novità. 

«Siamo in attesa del decreto di cassa integrazione per i lavoratori Blutec – spiega il segretario regionale della Fiom Roberto Mastrosimone – Per lunedì mattina abbiamo poi convocato, presso il Comune di Termini Imerese in piazza Duomo, una manifestazione a favore dei lavoratori dell’indotto ex Fiat che sono rimasti fuori dagli ammortizzatori sociali. Si tratta degli ex dipendenti Manital SSA, che per tutto il 2019 non hanno percepito alcuna forma di tutela al reddito. E ad essi si sommeranno i lavoratori della Bienne Sud, che rimarranno senza ammortizzatori sociali da marzo 2020. Chiediamo che questi lavoratori vengano tutelati, così come tutti gli altri dipendenti dell’ex stabilimento Fiat, visto che Termini Imerese è stata riconosciuta area di crisi complessa».

L’unico progetto d’innovazione industriale sul territorio di cui si ha notizia, presentato dall’Istituto di ricerca biomedica e clinica Giglio di Cefalù, riguarda la realizzazione di una piattaforma di tecnologie innovative per i trattamenti mini-invasivi in radioterapia e chirurgia robotica mini-invasiva. I costi complessivi ammontano a circa 27,61 milioni di euro, di cui 12,7 finanziati dal Ministero dello Sviluppo Economico. Il progetto è stato approvato lo scorso 14 gennaio dal ministro Stefano Patuanelli, dopo la valutazione positiva da parte del Consiglio Nazionale delle Ricerche.

Andrea Turco

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