Un lucido ricordo di Socrates “o Magrao”

“Vuoi una birra?” era la prima domanda a cui vi toccava rispondere. Il dottor Sócrates Brasileiro Sampaio de Souza Vieira de Oliveira, era nato nella capitale dello stato del Parà, Betlemme, che in portoghese si dice Bélem. Di Gesù aveva la barba ieratica e come lui camminava sulle acque. Ma il suo tacco, ah il suo tacco!, arrivava dritto dal Padre. Arrivato a San Paolo, “o Magrao” lungo e ieratico si scoprì alienato, provateci voi a passare la maggior parte delle vostre giornate con una ventina di energumeni che in testa hanno una sola cosa. Riunitosi con i compagni di lavoro, nel bel pieno della dittatura militare brasiliana, esautorò dirigenti e allenatore e con i compagni creò la “democrazia corinthiana”. Tutte le decisioni si prendevano a maggioranza, e il nome della società si poteva utilizzare per campagne sociali. Inutile dire che tutti quanti avrebbero avuto gli stessi premi partita. “Non è che l’allenatore non decidesse nulla, lui diceva quante ore di allenamento servivano, come e quando era compito nostro”. Se qualcuno “disertava” non veniva punito: “siamo uomini non ragazzini; se qualcuno non viene evidentemente ha un problema e dobbiamo risolverlo insieme, altro che punirlo. Dove siamo?”.

Nel 1982 capitò in Spagna, l’anno delle pipe, quella di Pertini ma soprattutto quella di Bearzot. Mentre da noi era tutto un pullulare di controlli e di isterismi, lui e i suoi amici potevi andare a trovarli mentre facevano il bagno nella piscina dell’albergo. E con una birra in mano. Giocarono come gli dei, persino i sovietici sembravano allegri. Regalavano il primo gol poi la palla non la vedeva più nessuno. In quella squadra, che non sapeva dove mettere i fuoriclasse, che relegava le mezzepunte vicino al portiere – per un quarto d’ora poi non ce la faceva più e attaccavano anche loro – in cui la palla non la passavano mai, in cui Falcao era partito in panchina, che persero una partita prendendo il gol decisivo a difesa schierata, in quella squadra c’era uno alto e intoccabile che sembrava camminasse, attorno al quale tutti ruotavano e che non credeva servisse particolarmente coprire, scalare, annoiarsi. Segnò il primo gol dei brasiliani, ne fece un altro a Zoff facendogli fare la figura del giovanotto mettendo la palla dove da lì non si deve mettere. Ogni tanto faceva il colpo di tacco, secondo Brera era un’astrazione filosofica, qualsiasi cosa intendesse.

Arrivò a Firenze e parlando del Brasile disse che dove noi vedevamo samba lui vedeva lotta per la sopravvivenza: se non avevi soldi non andavi a studiare, non prendevi l’autobus, mangiavi quasi mai e potevi scordarti l’ospedale. “Certo che sono venuto per soldi, ma vorrei vedere Michelangelo e Santa Croce, ho letto Gramsci, ogni tanto vorrei giocare. E poi non sono come Zico o Falcao, per carità fanno bene anche loro, ma a me i soldi servono per tornare in Brasile a curare meglio le persone”. Come se la sarebbe cavata in Italia uno che aveva appoggiato lo sciopero generale organizzato dai sindacati operai contro le politiche economiche del governo? “E che dovevo fare? Il sindacato dei calciatori non si era neanche posto il problema, chissà forse credono che l’alienazione non appartenga ai calciatori. Eppure è proprio l’alienazione che aiuta a castrarti”. L’alienazione? Poveri giornalisti italiani. Meglio tornare al calcio, sa che lei è molto lento? “Davvero?” Il fatto è che leggeva i giornali ma saltava la pagina sportiva. Il calcio in fondo un po’ lo annoiava, lo interessavano di più i calciatori. Non riusciva a credere che tra le regole ci fosse quella di non fare l’amore prima della partita. Sono un medico, di cosa parlano? Lo sforzo fisiologico è ridicolo e l’amore ci migliora”.

Si ritirò in Amazzonia, e cominciò ad esercitare tra una birra e l’altra. Cominciò a fare il commentatore, e se di Baggio riuscì a dire che “ti amplia la prospettiva, da un particolare ti fa capire l’insieme” di Pelè e Maradona aveva un’altra opinione: “guardate come sono ridotti. Uno è un fantoccio, nelle mani di chi capita. In quanto a Maradona, forse anche io sarei scoppiato ad avere sempre i tifosi sotto casa”.

Si mise a scrivere canzoni con Toquinho, una raccontava di un uomo che mentre aspettava la donna amata, cominciava a pulire tutta la casa, freneticamente. Qualche anno fa andò a giocare nella serie d inglese, era solo appesantito, ma esattamente come a Firenze camminava sulle acque. Tornò presto in Amazzonia, con i fratelli Sostones e Sofocles perché “mio padre doveva essere ubriaco quando nascemmo” e con i suoi figli, cinque, nessuno di loro calciatore, ci mancherebbe. Tre domeniche fa, dopo l’ultima birra, i giocatori del Corinthias, la panchina, tutto il pubblico, l’intero Brasile durante il minuto di raccoglimento aveva la testa bassa ma il pugno chiuso e teso verso l’alto, verso Sócrates Brasileiro Sampaio de Souza Vieira de Oliveira.

 

 

Roberto Salerno

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