Twilight singers – Powder burns (2006, One little Indian)

TRACKLIST:
1 Toward The Waves
2 I’m Ready
3 There’s Been An Accident
4 Bonnie Brae
5 Forty Dollars
6 Candy Cane Crawl
7 Underneath The Waves
8 My Time (Has Come)
9 Dead To Rights
10 The Conversation
11 Powder Burns
12 I Wish I Was

La polvere. A che polvere si riferisce il titolo del nuovo album dei Twilight Singers? Sarà forse quella dei sobborghi di Cincinnati (nell’Ohio), punto di partenza, a fine anni ’80, del giovane Greg Dulli? O è forse quella dei desertici paesaggi californiani? Più probabilmente è la polvere della distruzione, quella che viene su in giallastre nuvole fumose quando l’acqua si prosciuga lasciando emergere quintali di macerie, quando è il momento di ripartire, di ricominciare. E’ la polvere di Katrina, la polvere di New Orleans, una città fantasma che prova a reincarnarsi, grazie anche alla molteplicità di artisti che non l’hanno abbandonata e dimenticata. Ed è proprio nella capitale mondiale del jazz che, a cavallo dei tragici eventi legati all’uragano del 2005, ha preso vita come una fenice Powder Burns (maggio 2006), nuovo capitolo della lunghissima carriera di Greg Dulli, quinto dell’avventura con i Twilight Singers. L’album risente quindi in pieno dell’atmosfera inquieta in cui è stato con perseveranza concepito (Dulli dopo l’uragano ha voluto continuare il lavoro nello stesso studio di registrazione in cui era stato iniziato), e lo dimostrano passaggi strumentali e lirici degni dei migliori episodi della carriera del nostro. Toward The Waves, “verso le onde”, recita così il titolo dei quasi cinquanta secondi di intro strumentale che danno il via alla personalissima “ricostruzione dei fatti” dei Twilight Singers; le scariche elettriche del primo vero brano dell’album, I’m Ready, ci preannunciano invece come Dulli sia davvero in forma e come la sua voce non abbia perso, col trascorrere degli anni, l’intensità dei tempi degli Afghan Whigs; There’s Been An Accident e Bonnie Brae sono la perfetta testimonianza della disarmante tristezza che pervade l’intero lavoro; un cadenzato pianoforte serpeggia attraverso uno degli episodi migliori dell’album, Forty Dollars, con quella voce filtrata “effetto megafono” e l’inciso tratto da “She Loves You” dei Beatles che risuona ad un tratto nelle orecchie (retaggio dell’album di cover del 2004). La ballata Candy Cane Crawl, che vede la partecipazione di Ani Di Franco, si posiziona al centro appena prima di Underneath The Waves: “sotto le onde”, il disastro si sta compiendo, la città è sommersa. Una prima, ed in realtà unica, vena di disappunto è d’obbligo per la traccia numero otto, My Time (Has Come), corpo estraneo del full lenght. Leggendone il titolo può non ricordare nulla, ma fin dai primi tre nanosecondi di ascolto non si tarda a riconoscerne la “White Widow / La Vedova Bianca” degli Afterhours dell’amico Manuel Agnelli: per carità, il brano è riarrangiato in modo egregio, a dirla tutta rende anche meglio della versione inglese “originale”, l’accento e la pronuncia di Dulli non hanno (ovviamente) nulla a che vedere con quelli falsati di Agnelli. Ma è una trovata che andava decisamente evitata, non serve proprio che Dulli e Agnelli ci sventolino in faccia ad ogni occasione la loro sinergia personale/artistica. Dead To Rights, “morte ai diritti”… sono forse quelli della popolazione, male assistita prima e dopo la catastrofe? La dolceamara The Conversation precede il binomio conclusivo, composto dalla melodica titletrack Powder Burns e da I Wish I Was: il mare si è ritirato, è il momento del cordoglio, è il momento di mettere da parte la violenza (dell’uomo e della natura) e ricostruire insieme. E’ questo brano di chiusura il vero capolavoro di “Powder Burns”, un album sentito e sofferto, dichiarazione d’amore verso una città che tanto ha dato alla musica.

Emanuele Brunetto

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