Trapani, in un anno cinque cellulari dentro le carceri Minitelefoni come accendini che sfuggono ai controlli

Cellulari all’interno delle celle della casa circondariale Pietro Cerulli ex San Giuliano di Trapani. Ben cinque, trovati in poco più di un anno, dagli agenti della polizia penitenziaria nel corso di alcune perquisizioni. Non solo Trapani però. Un telefonino venne ritrovato nell’ottobre dello scorso anno, all’interno delle carceri di Favignana in possesso di un detenuto, Antonino Speziale, l’ultrà del Catania condannato per l’omicidio dell’ispettore di polizia Filippo Raciti. Speziale avrebbe recuperato il cellulare da un altro detenuto. A scoprire l’apparecchio, occultato all’interno di un barattolo, uno degli agenti in servizio sull’isola. In quel periodo infatti, i controlli furono rafforzati a causa della fuga di tre ergastolani pluriomicida dalla prigione egadina, catturati qualche giorno dopo da carabinieri e polizia penitenziaria.

Qualche tempo prima della fuga di Favignana, sempre a Trapani, quattro telefonini, in due diversi episodi furono lanciati al di là del muro di cinta della struttura carceraria, ma furono subito intercettati grazie agli stretti controlli disposti dal comandante di reparto. Ovviamente non si tratta dei tradizionali smartphone, difficili da occultare. Si tratta di minitelefoni o tiny phone, poco più grandi di un accendino, composti da pochissimo materiale ferroso, quindi non rilevabili dai metal detector. Farli entrare in carcere non è difficile, nonostante gli scrupolosi controlli di sicurezza. Per le loro dimensioni possono essere facilmente introdotti nel canale rettale. Perquisizioni così invadenti devono essere autorizzate e sono soggette a precise procedure e non possono essere estese a chiunque. 

Gli agenti controllano i parenti in visita, i pacchi introdotti e perfino il personale che opera all’interno della casa circondariale. Ma ci sono anche i detenuti che entrano ed escono dal carcere per i permessi o che scontano la pena in regime di semilibertà. Procurarsi uno di questi dispositivi è un gioco da ragazzi. Su internet se ne trovano di diversi modelli, con prezzi che variano dai 15 ai 50 euro. Poca cosa insomma, ma all’interno dell’istituto penitenziario diventano un bene prezioso, affittato o rivenduto a caro prezzo con sigarette o con piccoli acquisti al sopravvitto. Le schede telefoniche di solito sono intestate a ignari pensionati o cittadini stranieri. In alternativa vengono usate le ricaricabili Lyca, molto diffuse all’estero e ora anche in Italia per le quali non occorre esibire un documento di identità per acquistarle. 

Dopo la storica pronuncia della Corte Europea dei Diritti dell’uomo del 2013 in base alla quale l’Italia è stata condannata per il sovraffollamento delle carceri, sono radicalmente cambiati i criteri e le tecniche di sorveglianza. I detenuti, a buona ragione e nel rispetto dei loro diritti, nelle ore mattutine non rimangono ristretti nelle celle e sono liberi di circolare all’interno delle rispettive sezioni. Agli agenti è quindi richiesta un sovrappiù di attenzione che ha assunto anche una indicazione operativa: «sorveglianza dinamica», una attività che richiede maggiore impegno, una assunzione di rischi e responsabilità maggiori e che esigerebbe, però, che tutte le carceri fossero dotate di più personale.

I sindacati della polizia penitenziaria hanno puntato più volte l’indice su due aspetti della sicurezza: la necessità di avere più personale per la sorveglianza dinamica e l’ammodernamento dei sistemi di sicurezza elettronici. Nel carcere di Trapani sono ristretti 570 detenuti e la sorveglianza è affidata a un organico di 264 uomini su una pianta organica di circa 300 ridefinita in base alla applicazione della legge Madia. Secondo un documento firmato dal sindacato Polpen e inviato anche al Prefetto di Trapani, la casa circondariale del capoluogo avrebbe bisogno di altre 61 unità di personale. «Il personale di polizia penitenziaria presente – si legge nel documento – è molto avanti con gli anni e mancherebbero anche alcune qualifiche».

Pamela Giacomarro

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