Chiesti sei anni di reclusione e nove mila euro di multa per Sergio Macaluso e Domenico Mammi, imputati nel processo che li vede accusati di tentata estorsione aggravata dal metodo mafioso ai danni di un noto ristorante palermitano. L’episodio è avvenuto la sera del 13 gennaio scorso, quando i due imputati si sono presentati nel locale comportandosi inizialmente da semplici avventori, ordinando una pizza da asporto, rivolgendo poi una serie di esplicite minacce a uno dei proprietari alla cassa. «Preparatevi per la messa a posto» avrebbero detto, intimando anche di «cercarsi un amico» qualora avessero voluto opporsi. Liturgia tipica dei metodi impiegati dagli affiliati a Cosa nostra e che ha contribuito all’inserimento dell’aggravante al capo d’accusa iniziale. Si costituiscono parte civile anche il comitato Addiopizzo, rappresentato dall’avvocato Valerio D’Antoni, il Comune di Palermo e il Fai, l’associazione antiracket rappresentata dal legale Ugo Forello. La loro richiesta è di risarcire il grave danno morale e di immagine recato ai proprietari del locale.
Si tratta per di più di soggetti già noti alle autorità. In particolare Sergio Macaluso, classe 1973, presente in aula e visibilmente contrariato durante la minuziosa ricostruzione del suo personaggio all’interno della famiglia mafiosa del mandamento di Resuttana fatta da parte dell’accusa. È un pentito autorevole che ne delinea, con dettagli e particolari, il profilo criminale: Vito Galatolo, ex boss dell’Acquasanta arrestato a Mestre nel giugno 2014. Lo riconosce dalle fotografie, anche se durante gli interrogatori si era sempre riferito a lui usando il nome Sergio Lo Iacono. Un banale equivoco, spiega l’accusa in aula, dovuto al fatto che il padre di Macaluso, Francesco Lo Iacono, lo ha riconosciuto come figlio naturale vietandogli però l’uso del cognome. Diversi, poi, sarebbero stati i contatti che Macaluso avrebbe cercato di avere con i diretti referenti a Palermo dell’ex boss, Renato Farina e Vincenzo Graziano detto Viciuzzo, per portare a termine un progetto di intestazione fittizia di un bar-panificio in viale Strasburgo insieme a Filippo Buonanno, scalzando gli altri interessati all’affare.
«È evidente che nel caso di Macaluso possiamo parlare di un vero e proprio agire operativo all’interno di Cosa nostra» dice l’accusa durante l’udienza preliminare, fra le continue smorfie dell’imputato. «Vedi che io cammino per te notte e giorno» avrebbe infatti detto lo stesso Macaluso proprio a Vito Galatolo, malgrado durante gli interrogatori abbia più volte negato sia di conoscere l’ex boss e di lavorare per lui sia di essere andato a trovarlo fino a Mestre. «Ventisette anni fa veniva ritrovato il libro mastro dei Madonia – dice l’avvocato Forello in aula – e nella lista dei pagatori del pizzo c’era proprio il nome di questo ristorante. Lo stesso che oggi non solo ha denunciato ma i cui proprietari si sono anche opposti fisicamente alla richiesta estorsiva, costringendo gli imputati a barricarsi nella loro auto, nell’attesa dei carabinieri. Una svolta epocale». La giudice Wilma Angela Mazzara si pronuncerà a settembre.
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