Tecnis, in una sentenza del 2009 il pizzo a Messina Secondo il giudice «pagavano 3.500 euro al mese»

«Denunciare dev’essere la normalità delle cose, la strada è quella tracciata da Montante». Era il 2013 quando l’imprenditore Mimmo Costanzoagli arresti domiciliari da ieri nell’ambito dell’operazione Dama nera per un presunto giro di tangenti, si faceva portavoce della svolta antimafia di Confindustria Sicilia. Secondo la linea dettata in prima persona dal presidente degli industriali Antonello Montantepoi indagato per mafia a Caltanissetta. Per questo Costanzo aveva deciso di recarsi personalmente negli uffici della Dda di Catania e denunciare i tentativi d’estorsione che la sua Cogip spa stava subendo da parte della ‘ndrangheta per i lavori lungo la statale calabrese 106 ionica.

Un scelta che gli era valsa copertine e lunghe interviste sull’importanza della legalità come «responsabilità sociale e morale». Qualche anno prima, però, l’imprenditore non avrebbe mostrato la stessa fermezza con Cosa nostra etnea, almeno secondo un giudice. Nel 2005, un’intercettazione ambientale cattura l’attenzione degli investigatori, impegnati in quel periodo a ricostruire i nuovi assetti della mafia a Catania. A parlare sono Angelo Santapaola, reggente e soggetto in ascesa – poi ucciso nel 2007 – , il cugino messinese Vincenzo Santapaola e Ivan Filloramo. Al centro delle discussioni c’è l’appalto vinto dalla Tecnis spa per la realizzazione dell’approdo di Tremestieri nella città dello Stretto, su cui la Procura di Messina ha recentemente avviato un’indagine. 

La ditta non viene mai nominata direttamente dai tre uomini, che però fanno riferimento a «questo qua… il responsabile, Costanzo». Che gli investigatori individuano in Mimmo Costanzo. Secondo i magistrati, l’imprenditore catanese è la vittima di un’estorsione datata che, nelle intenzioni dei boss, va rinegoziata. La nuova linea emergerebbe dalle parole dello stesso Angelo Santapaola contenute nella sentenza di primo grado dell’inchiesta Arcangelo. «Cioè lui 3500 euro non li sta dando più […] la regola gliela dobbiamo modificare, devono avere una nuova regola… noi soldi non ne vogliamo più… noi vogliamo un importo sui lavori». Una «nuova regola» che avrebbe avuto come obiettivo, secondo i magistrati, quello di dividere la somma dell’estorsione tra la famiglia mafiosa messinese e quella catanese.  

Per chiarire la vicenda, il giudice Luigi Barone – lo stesso dell’imputazione coatta di Raffaele Lombardo per concorso alla mafia – decide di sentire, qualche anno dopo, sia Mimmo Costanzo che Concetto Bosco, le due vittime della presunta estorsione, soci al 50 per cento della Tecnis. Nel ricostruire la vicenda dell’approdo di Tremestieri, i due imprenditori catanesi non solo negano di aver mai pagato il pizzo – circostanza che invece emergerebbe dall’intercettazione e che viene ribadita nella sentenza -, ma affermano di non aver mai ricevuto richieste da parte di Cosa nostra per quei lavori. Ed escludono persino di aver conosciuto Angelo e Vincenzo Santapaola. 

Risposte che però non convincono Barone. Il giudice sottolinea che la «nuova regola» che Santapaola voleva imporre a Tecnis – cioè la percentuale sugli appalti – non viene portata a compimento. Ma precisa che le dichiarazioni di Bosco e Costanzo sono «palesemente mendaci, perché incongruenti sul piano della coerenza logica». Nonostante l’esplicito ammonimento in udienza da parte del giudice a non dire il falso, i due, si legge nella sentenza, avrebbero «negato persino l’evidenza e cioè la conoscenza di Santapaola e Filloramo che nei loro discorsi parlavano dei contatti avuti». Un insieme di silenzi e presunte omissioni che porta il giudice sulla stessa lunghezza d’onda del pubblico ministero, decidendo di trasmettere gli atti sull’interrogatorio di Bosco e Costanzo alla Procura etnea per valutarne le rispettive posizioni. L’ufficio giudiziario di Catania chiede il rinvio a giudizio dei due imprenditori, posizione che invece viene poi archiviata dal giudice per l’udienza preliminare.

Dario De Luca

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