Il tamburo di Alfio Antico in un film sulla memoria «Un ritmo antico che tramanda le radici contadine»

Riecheggia all’alba il suono del tamburo a cornice di Alfio Antico. Seguendo la transumanza di 50 bovini, attraverso le campagne tra Troina e Cesarò, incanta il pubblico con le melodie e la prosa racchiuse nel suo strumento. Si tratta del primo ciak ufficiale di un film sperimentale sul cantautore lentinese e sulla memoria dei luoghi che sarà presentato il prossimo anno dai documentaristi Giuseppe Calabrese e Vito Cardaci, vincitore nel 2014 del premio De Seta al BariFilmFest. «Non abbiamo pensato al classico spettacolo che si svolge su un palco e dove il pubblico rimane fermo a guardare – spiega Calabrese -. Ogni passo dei dieci chilometri che abbiamo percorso rappresenta un set aperto a tutti, perché vogliamo che ogni scena diventi uno scambio di emozioni tra l’artista e i presenti. Questo è lo spirito che animerà tutto il documentario».

Pastore fra le montagne dell’entroterra siracusano fino ai 18 anni, Alfio Antico attraverso il canto e il ritmo del suo inseparabile tamburo a cornice è diventato ormai uno dei maggiori interpreti della musica popolare siciliana, raccontando favole, storie e miti della cultura contadina. «La mia carriera è iniziata nel 1977 a Firenze quando ho conosciuto Eugenio Bennato – racconta Antico -. Dopo quell’incontro ho cominciato a mettere in musica la mia vita, ottenendo un successo a livello internazionale. Devo molto anche al teatro – aggiunge -, dove ho scoperto il mio tocco sul tamburo». Una carriera costellata da collaborazioni con Lucio Dalla, Fabrizio De Andrè, Giorgio Albertazzi, Vinicio Capossela e Carmen Consoli, solo per citarne alcuni, senza mai dimenticare la propria terra, raccontata sempre senza autocommiserazione o retorica, ma con un intenso desiderio di riscatto. «Ogni volta che torno a Lentini vado a trovare pastori, vaccari, contadini e massari perché sono popolazioni antichissime che stanno scomparendo – prosegue il cantautore -. Un mondo del quale conosco lo sguardo e il linguaggio, e che va protetto perché rappresenta la memoria». 

Una protezione che passa anche dal racconto in musica: in questo caso armonizzando un rito arcaico con sonorità mediterranee. «Da bambino – racconta Antico – facevo la transumanza con le pecore, invece a Troina la mia musica ha accompagnato le mucche. Non è stato facile andare a tempo con il loro batacchio, perché questi animali con il loro passo creano un ritmo unico. È stata comunque un’esperienza straordinaria che mi ha permesso di amare un territorio non mio, ma che è diventato fonte di ispirazione». Una singolare orchestra capace di produrre un effetto poetico, a tratti commovente, dove musica e canto hanno ritrovato la simbolicità, l’armonia e l’indicalità tipici dell’arte popolare, capaci di allontanare i presenti, almeno per qualche ora, dai problemi e dalle beghe quotidiani e di creare una profonda relazione attorno al suono del tamburo a cornice.

Strumento verso il quale l’artista lentinese non nasconde un sentimento di amore profondo. «Per me è un’arpa – prosegue Antico -. In lui ritrovo le coccole trasmesse da mia nonna, che suonava questo strumento, dato che non ho potuto avere quelle di mia mamma. Ho creato da solo il mio primo tamburo e ho imparato a suonarlo da autodidatta. Li costruisco ancora oggi perché li cambio in base a ciò che devo raccontare. Quando arriverò a centocinquanta – aggiunge – farò una mostra, perché ogni tamburo rappresenta un territorio che ho conosciuto». Strumento legato alla tradizione popolare, il tamburo accompagna da sempre la quotidianità dei contadini, con un potere evocativo unico e una versatilità difficilmente comparabile con quella di altri strumenti. «In Sicilia ci sono migliaia di tarantelle perché ogni paese ha il suo linguaggio – prosegue Antico -. Io cerco di riportare tutti i suoni della campagna perché la musica popolare ha sempre accompagnato i momenti di festa. Una rappresentazione che può essere anche ironica, ma che non deve mai perdere la dignità e scadere nella volgarità». 

O nel folklore commerciale. «Oggi vedo una brutta copia dell’autentica musica popolare siciliana – dice l’artista -. Non basta indossare un abito d’altri tempi, una fascia rossa e suonare un fischietto per interpretare quest’arte. La musica popolare di un tempo era ragionata, vista e rimontata. Con questi criteri è nato lo spettacolo che abbiamo proposto a Troina, perché dobbiamo tornare ad apprezzare i nostri valori e a rispettare coloro che vivono e tutelano la campagna». Un appello che sarà ribadito nell’appuntamento in programma il 25 giugno, quando Alfio Antico, insieme al figlio Mattia, alla cantante Rita Botto e al musicista Puccio Castrogiovanni, terrà un concerto, negli stessi luoghi, sotto una quercia secolare. 

«A narrare ci sarà un tamburo a cornice che verrà appositamente costruito e ricamato per l’occasione – racconta Antonio Pruiti, proprietario dei cinquanta bovini -. Queste manifestazioni devono dare anche un segnale forte, capace di testimoniare il momento che viviamo. Noi siamo i custodi della natura che oggi rischia di essere distrutta. Il mondo contadino appartiene a tutti noi perché rappresenta la nostra origine e il nostro sostentamento. Non c’è un altro sistema per attingere al piatto che non sia la terra. Questi progetti – conclude Pruiti – testimoniano il desiderio di passare da custodi a testimoni di un mondo dove tutti noi abbiamo la responsabilità di tramandare agli altri quello che abbiamo appreso».

Salvo Caniglia

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