Non se l’aspettava nessuno questa nuova eruzione dello Stromboli, il vulcano più attivo delle isole Eolie e
uno dei più studiati al mondo. Appena due mesi fa Iddu aveva scosso l’isola con una violenta eruzione che, oltre a causare la morte di un giovane turista, aveva creato grande scompiglio nell’isola tra la paura di
chi è scappato il più presto possibile e la fiducia di chi è rimasto nella consapevolezza di trovarsi
su un vulcano attivo.
Il punto è che eventi del
genere per Stromboli sono considerati alquanto rari: il vulcano, infatti, si caratterizza per il suo stile
eruttivo piuttosto tranquillo che gli esperti definiscono attività stromboliana (termine vulcanologico
coniato proprio sull’isola e che ha dato il nome a tutte le attività simili, anche in altri vulcani del mondo).
Questa attività comporta una successione di piccole esplosioni di bassa intensità con fontane di lava che si
susseguono ritmicamente a intervalli di circa 15-20 minuti e lanci di materiale incandescente fino a
un’altezza massima di 100-200 metri.
Questo tipo di attività è ritenuta di bassa energia dal momento che il
materiale eruttato ricade all’interno della cosiddetta terrazza craterica, senza mai fuoriuscire dall’orlo del
cratere e senza nessun coinvolgimento delle aree abitate. È proprio per assistere a questo spettacolo che decine di turisti di ogni parte del mondo, ogni sera, scalano gli oltre 900 metri emersi del vulcano
sfidando calura estiva e fatica. Scalavano, è più opportuno dire. Sì, perché per ragioni di sicurezza, dal 3
luglio scorso chi vuole assistere a questo spettacolo della natura deve arrestarsi a 250 metri di quota.
Sufficienti per vedere il “rosso” come sono soliti dire molti turisti, ma di certo in una situazione meno
affascinante rispetto al trovarsi sul pizzo sopra la Fossa, un punto unico al mondo che consente di vedere
le esplosioni dal basso verso l’alto a una distanza di poche centinaia di metri.
Eventi come quello di ieri mattina e del 3 luglio sono, però, del tutto diversi: si tratta dei temuti parossismi, gli eventi
più violenti ed energetici che un vulcano di questo tipo può generare dal momento che l’esplosione
avviene in maniera improvvisa con l’emissione di una colonna sostenuta di gas e cenere, insieme a una
grande quantità di materiale piroclastico. Data la loro enorme energia, i parossismi sono considerati gli
eventi più pericolosi che possono interessare l’isola, poiché il materiale lanciato può raggiungere perfino
le aree abitate.
Ed è proprio quello che è successo ieri quando, dopo un forte boato, una nuvola nera di gas
e materiale incandescente ha cominciato a espandersi dalla sommità del vulcano per poi alzarsi verso il
cielo. Poi una nube piroclastica incandescente si è riversata in mare con un flusso di materiale
che ha percorso velocemente circa cinquecento metri oltre linea di costa e che ha generato una piccola
onda di tsunami di 22 centimetri.
Fino a ieri, però, questi eventi si susseguivano con un intervallo di tempo di diversi anni l’uno dall’altro (gli
ultimi due sono stati registrati nel marzo 2007 e prima ancora nell’aprile 2003) mentre invece, in questo
caso, si sono ripetuti a neanche due mesi di distanza.
Ma come si fa a prevedere eventi di simile portata? Gli stessi esperti ammettono che è estremamente difficile. Si tratta, infatti, di una situazione molto delicata in cui,
soprattutto in assenza di precursori (ossia dei chiari segnali che precedono un eruzione di questo tipo e
che possono essere utili per le operazioni di protezione civile) tutti gli scenari sono aperti. Dopo
l’esplosione dello scorso luglio, infatti, lo Stromboli si era mantenuto in uno stato di apparente instabilità,
come aveva dichiarato qualche giorno fa l’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia, con esplosioni
di ampiezza media o alta nella zona dei crateri sommitali.
Va ricordato, inoltre, che lo Stromboli è un
vulcano con attività persistente e, per quanto possa essere una meta turistica molto gettonata in estate e
dall’indiscutibile fascino naturalistico, presenta delle criticità che non possono essere sottovalutate.
L’unico segnale chiaramente riconducibile all’evento esplosivo è stata una forte deformazione del suolo
rilevata dai tiltimetri e compatibile con l’evidente rigonfiamento dell’edificio vulcanico circa cinque minuti
prima dell’esplosione. Troppo poco per pensare di usare un dato del genere per fare sorveglianza.
La difficoltà, adesso, è di nuovo quella di ripristinare la rete dei sensori già distrutta dall’evento del 3
luglio e che, proprio nelle ultime settimane, era stata rimessa in funzione.
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