Stranieri in Italia, il rapporto annuale In Sicilia il tre per cento degli immigrati

«Un rapporto annuale che attraverso le cifre e non solo dimostra quanto sia importante e da considerare una risorsa la presenza dei migranti nel nostro paese». Con queste parole Santino Tornesi, direttore dell’ufficio diocesano pastorale Migrantes di Messina ha presentato il XXII rapporto Caritas e Migrantes sull’immigrazione in Italia ieri mattina al museo diocesano di Catania. L’obiettivo non è solo quello di mettere in luce le cifre, anzi, lo scopo è quello di puntare l’attenzione sulle persone che queste cifre rappresentano, tanto che il titolo che la Caritas ha voluto dare al volume è: «Non sono numeri».

«L’Italia ci da una visione miope dell’immigrazione e propone un modello sociale basato sulla precarietà in cui lo straniero è buono finché serve, un po’ come accadeva con noi in Germania, e stiamo ancora a discutere sulla cittadinanza ai minori nati in Italia o sul diritto di voto alle amministrative per i regolari, assurdo», dichiara Tornesi. Si cerca dunque di combattere quello stereotipo secondo cui i migranti sono tutti brutti, sporchi e cattivi e che si spostano dal loro paese solo per delinquere o per rubare il lavoro agli italiani. E per questo occorre recuperare almeno un po’ di memoria storica, secondo gli organizzatori del dossier, «perché dobbiamo sempre ricordare che anche noi siamo stati un popolo di migranti e in parte lo siamo ancora», afferma il direttore di Migrantes di Messina. Sono 28 milioni gli italiani partiti in cerca di nuove possibilità e di questi circa nove milioni non sono mai tornati.

Dal dossier emerge una presenza strutturale, giovane e a carattere familiare, tanto che circa il 20 per cento degli immigrati è proprietario di una casa. Inoltre, molte sono donne e ciò contribuisce anche ad aumentare il tasso di fertilità nel Paese.

I dati sugli stranieri in Italia riguardanti il 2011 non divergono troppo da quelli dell’anno precedente. Le regioni del centro nord si confermano quelle con una presenza più numerosa, «ma è chiaro che dipende dalle maggiori possibilità di trovare un’occupazione», spiega Tornesi.

La Sicilia si attesta intorno al tre per cento per il totale degli immigrati in Italia, anche se comunque, la percentuale dei permessi di soggiorno, richiesti soprattutto per lavoro, famiglia e problemi legati a vicende socio-politiche nei loro Paesi, è aumentata del 19,2 per cento. Catania, Palermo e Messina si confermano i tre capoluoghi con la maggiore presenza di stranieri che, come nel resto della penisola, arrivano soprattutto da altri paesi europei con in testa la Romania. «Al contrario di come i media nazionali fanno a volte apparire, solo il 12 per cento degli stranieri in Italia arriva via mare», dichiara ancora Tornesi.

Molti di loro sono lavoratori dipendenti, ma qualcuno, oltre a comprare casa, ha avviato delle aziende che danno lavoro anche ad italiani. Succede anche a Catania e più che negli altri centri siculi. E i soldi guadagnati, oltre che ad incrementare il Pil italiano concorrendo con l’11,1 per cento del totale, arricchiscono anche i loro Paesi di provenienza. «Secondo le statistiche un cinese in Italia ne mantiene quattro in patria, ma fa ancora più impressione il dato del piccolo paese del Tajikistan, il cui prodotto interno lordo è composto per il 45 per cento dalle rimesse mandate dai connazionali all’estero», dice il direttore dell’ufficio diocesano pastorale Migrantes di Messina.

Capitolo a parte meritano i minori, accompagnati e non. Sono molto aumentati negli anni, frutto della stabilizzazione delle loro famiglie, passando dallo 0,19 per cento del totale degli studenti in Italia nel 1990, all’8,4 nel 2011. E sono 21.398 quelli che frequentano regolarmente la scuola in Sicilia senza però avere la cittadinanza. «Nonostante molti siano nati qui e quindi rappresentino la seconda generazione, questi ragazzi non godono degli stessi diritti e delle stesse possibilità dei nostri figli. Anche per questo dobbiamo ripensare al nostro modello di integrazione, basato sull’urgenza, sulla prima accoglienza e sull’esclusione. L’idea di pensare prima a noi e poi a loro non solo è discriminante, ma  va anche contro ogni regola sia di buon senso che pratica. Gli stranieri in quanto persone sono una risorsa preziosa», conclude.

[Foto di Rete Studenti Massa]

desireemiranda

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