Un asciugacapelli rovente, alcuni attrezzi da camino incandescenti e una padella. Sarebbero stati questi gli strumenti usati per torturare Antonella Salamone e i suoi figli Emannuel (quattro anni) e Kevin (sedici anni). Sevizie che, come hanno confermato le autopsie sui cadaveri, sarebbero durate più di una settimana. A compierle all’interno della casa in contrada Granatelli ad Altavilla Milicia, in provincia di Palermo, sarebbero stati Giovanni Barreca, marito della donna e padre dei due minorenni, la figlia Miriam, sorella delle vittime (che di anni ne ha 17) e la coppia di coniugi fanatici religiosi Massimo Carandente e Sabrina Fina. Per gli inquirenti, tutti avrebbero agito «in preda a una forma di delirio mistico» e «in esecuzione della volontà di Dio per allontanare i demoni presenti all’interno del nucleo familiare».
La mezzanotte è passata da 37 minuti ed è, quindi, già domenica 11 febbraio quando dal suo cellulare Giovanni Barreca chiama il 112. «Buonasera, mi devo consegnare», dice all’operatore, che chiede spiegazioni. «Pure che ve lo dico, non ci credete. Ve lo dico lo stesso, poi come volete fare, fate… Quando uno vuole fare la volontà di Dio, gli spiriti si ribellano». Dall’altro capo del telefono, l’operatore riesce a pronunciare solo monosillabi. «Mia moglie era posseduta. In pratica, è morta – dichiara l’uomo, che precisa di trovarsi in auto fermo in un parcheggio vicino a un bar a Casteldaccia – Forse l’unica speranza che c’ho è mia figlia. Sono dovuto scappare perché i demoni mi stavano mangiando pure a me, perché io credo in Dio». Un discorso delirante che va avanti a ogni richiesta di chiarimento da parte dell’operatore: «Il mondo spirituale non è come quello carnale. E io voglio fare la volontà di Dio che è fare le cose giuste: vivere e amare il prossimo come te stesso». A questo punto il muratore, che ha già compiuto la strage famigliare, scoppia a piangere e aggiunge di avere lasciato «mia figlia posseduta e mio figlio il piccolo morto». Nessuna notizia del figlio più grande, forse ancora vivo, seppur agonizzante, quando il padre ha lasciato la casa.
Una villetta singola in aperta campagna in contrada Granatelli ad Altavilla Milicia, a poco meno di 30 chilometri di distanza dal capoluogo siciliano. Sulle pareti di casa sono riportati dei passaggi della Bibbia. Nella cameretta al primo piano dell’abitazione, lasciata con la porta socchiusa, ai piedi del letto c’è il corpo senza vita del bambino in posizione supina e coperto da un telo. A terra, dietro un divano del soggiorno, c’è il corpo di Kevin, il figlio maggiore: ha le mani e i piedi legati dietro la schiena con una catena arrugginita, delle corde e dei cavi elettrici. Dietro la porta chiusa a chiave della camera da letto, c’è la sorella 17enne che dorme. A svegliarla sarà l’arrivo dei carabinieri. La madre, Antonella Salamone, invece, in casa non c’è. Quel che resta del suo corpo verrà ritrovato seppellito in un terreno di montagna sopra l’abitazione, in un’area in cui si vede che la terra è stata smossa e ricoperta di ceneri ancora in combustione. «Ho dovuto bruciare il suo corpo in nome di Cristo», dirà poi il marito a un appuntato. Dentro la fossa, larga cinque metri quadrati e profonda quaranta centimetri, ci sono anche diversi oggetti della casalinga: arnesi da cucina, tazze da collezione e bomboniere di ceramica.
Svegliata dall’arrivo dei carabinieri, la 17enne sopravvissuta – fino a quel momento considerata solo vittima – parla a una marescialla. Il suo racconto inizia da metà gennaio, quando i genitori conoscono sui social la coppia Carandente-Fina. «Prima di morire – racconta la giovane – mia madre mi disse che erano venuti da noi per fare pulizie nella casa perché c’erano troppi demoni. Quando mia madre è morta (venerdì 9 febbraio, secondo quanto riferito dalla ragazza, ndr) hanno buttato varie cose che le appartenevano». Entrati in confidenza, sono loro le uniche persone a frequentare casa Barreca nell’ultimo periodo, fino a quando lì si trasferiscono. Inizia un «interrogatorio» alla madre e ai tre figli «per comprendere se fossero posseduti». Dalle domande insistenti si sarebbe passati alle torture fisiche – «per ripulire la casa dai demoni» – intervallate da «preghiere in aramaico», secondo il racconto.
Colpi, ustioni, privazione del cibo. È la stessa Miriam Barreca a riferire come si sarebbero svolte le torture sui due fratelli. Una padella come oggetti per colpire; un phon e pinze da camino incandescenti per le ustioni. Ma anche siringhe di caffè amaro da somministrare per bocca al più piccolo e indurlo al vomito, dopo giorni di digiuno. Il fratello maggiore – che avrebbe provato a difendersi, anche mordendo Fina a un polpaccio, e a scappare – è stato legato con diverse catene, anche al collo, in una posizione che gli avrebbe impedito di respirare. Anche sul suo corpo sarebbero stati usati gli attrezzi da camino incandescenti. In un primo momento, la figlia sopravvissuta racconta di essere stata costretta ad assistere alle torture e che, nonostante le ripetute suppliche della madre, non ha chiamato i carabinieri «per paura di essere torturata» a sua volta. Una versione crollata solo dopo giorni.
Trasferita in una comunità protetta, è dopo tre giorni che la 17enne chiede di potere parlare con il pubblico ministero. Accompagnata da un educatore, in procura la ragazza confessa di avere preso parte alle torture e alle sevizie nei confronti della madre e dei fratelli: tenendo fermo il fratellino e saltando sullo stomaco del maggiore già legato. Una complicità creata dalla coppia di coniugi ma sostenuta, secondo il racconto della ragazza, dalla sua stessa convinzione che «in casa ci fossero i demoni» e che quelle sevizie fossero «un necessario rito di liberazione». Dopo la morte della madre, sarebbe stata lei a occuparsi dei pranzi e delle cene, in una nuova quotidianità che la ragazza condivide via messaggi con una compagna di scuola, a cui invia una foto del fratello maggiore legato ma ancora in vita.
Anche Kevin, fino a un certo punto, utilizza il suo cellulare per messaggiare con il suo migliore amico. «Sono venuti due fratelli di Dio – scrive, facendo riferimento a Massimo Carandente e Sabrina Fina – e stanno liberando mia madre e mio fratello che hanno dei demoni molto maligni addosso». È il 4 febbraio quando il 16enne inizia a parlare all’amico in chat di una «presenza demoniaca» e di una «guerra spirituale» in corso a casa sua, motivo per cui non sarebbe più andato a scuola. «Siamo davanti al falò, ma sentiamo freddo», uno degli strani messaggi arrivati all’amico che aveva frequentato casa Barreca fino a qualche mese prima. Discorsi inediti, che pure non suscitano alcun allarme. «Mi dicevano che dio è sempre accanto a noi – riferisce l’amico minorenne, che si è presentato spontaneamente dagli inquirenti – e mi consigliavano di leggere il Vangelo o la Bibbia». Nella mattinata del 4 febbraio la chat diventa monotematica: «Il diavolo si sta mangiando la mia famiglia – scrive Kevin – Poi ti spiegherò, sempre se non verrò preso per pazzo. Ti assicuro che tutto quello che sto vivendo non ha senso, è al di fuori del normale e ho paura di quello che non so controllare. Ma ho dio dalla mia parte». Dall’indomani le risposte di Kevin all’amico diventano meno frequenti fino a interrompersi l’8 febbraio, con un ultimo messaggio: «Tranquillo, io metto tutto nelle mani di dio che lui provvederà».
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