Stalking, se lo conosci lo affronti

Da anni la Dottrina e la Giurisprudenza dibattevano sulla necessità di inserire nel nostro ordinamento giuridico una disciplina che punisse gli atti persecutori reiterati o le molestie insistenti volti a danneggiare le persone. Difatti in altri ordinamenti europei discipline simili sono presenti già da tempo. Così nove mesi fa anche in Italia lo stalking è diventato reato, inserito all’articolo “612-bis” nella sezione del codice penale relativa ai delitti contro la libertà morale. Ad una prima lettura l’articolo appare contorto e confuso; solo l’analisi interpretativa offre modo di chiarirne il significato intrinseco.

Si è affrontato questo tema nel convegno dedicato alla “Giornata internazionale contro la violenza sulle donne”. L’obiettivo è quello da una parte di sciogliere i nodi che riguardano questo reato, che nelle sue diverse sfaccettature risulta essere molto complesso, dall’altra di sensibilizzare l’opinione pubblica, dato che ancora in molti, soprattutto le donne, non denunciano perché: «o non credono che certe azioni che subiscono siano riconducibili a reato, o per paura», dichiara l’avvocato Giovanna Fava, sopravvissuta ad una sparatoria compiuta dall’ex marito di una sua assistita rimasta uccisa durante l’attentato.

Il seminario, tenutosi nell’aula magna di Scienze politiche, a cui il preside Giuseppe Barone non ha potuto partecipare per un impegno improvviso, si è aperto con i saluti del questore di Catania, Domenico Pinzello; il presidente del Comitato pari opportunità dell’Ateneo, la prof.ssa Rosa Maria Monastra, e il segretario provinciale Siap (Sindacato italiano appartenenti polizia) Tommaso Vendemmia.

Ma come si fa a riconoscere lo stalking? Questo tipo di illecito richiede la presenza di tre elementi essenziali. Il primo è la condotta tipica del reo (colui che compie il reato). Ma dato che «il fenomeno di stalking è difficile da tipicizzare», afferma l’ordinario di Diritto penale Anna Maria Maugeri, ovvero decidere fino a quando un atto è tollerabile e quando diventa lesivo, «per via del fattore psicologico soggettivo», si è deciso di creare norme tassative che puniscano la condotta: «dall’avvicinare fisicamente la vittima a lasciare messaggi insistenti e offensivi nella segreteria telefonica, da prenotare merce o servizi a nome della vittima fino a far recapitare dei vermi morti o una vagina di gelatina trafitta…».

Se prima, infatti, la giurisprudenza rispondeva con le leggi sulla “violenza privata” o sui “maltrattamenti in famiglia” o altre, ora si è reso necessario coprire il vuoto legislativo relativo ad atti persecutori: vuoi perché gli stalker possono essere anche vicini di casa, parenti… (oltre ex coniugi ed ex fidanzati); vuoi perché anche il ventaglio di condotta si è ampliato.

Proprio qui, nella Scienze politiche del caso Rossitto, Step1 non poteva non chiedere se sia possibile ricondurre alle nuove fattispecie di stalking le molestie sessuali, avances, insulti e ingiurie dei professori nei confronti di studentesse o studenti. La risposta è positiva «riguardo agli insulti e le ingiurie se sono reiterati, durante gli esami e non solo». Anzi, il sostituto procuratore Agata Consoli consiglia sempre di «raccontare la propria esperienza a chi di competenza, poi decidere se fare la denuncia e di conseguenza verranno adottate misure a tutela della vittima. Per le molestie specificatamente sessuali, invece, si fa riferimento alla legge sulla violenza sessuale (art.609 bis)».

Se il secondo elemento, come abbiamo visto, è appunto la reiterazione (cioè la ripetizione dell’azione), il terzo è che tali azioni illecite devono cagionare alla vittima un grave stato d’ansia o timore, o pregiudicare il suo modo di vivere. Ma trattandosi di «fondato timore» (come dal testo della legge 612 bis) per la propria sicurezza o per quella di una persona vicina, sostiene Maugeri, si presuppone l’introduzione di «un parametro oggettivo che va a valutare non più il timore in sé ma la condotta che può generare un fondato timore». Va da sé la complicanza nell’interpretazione.

Nel caso la condotta di uno stalker (dall’inglese colui che pedina, che fa la posta) provochi nella vittima «un grave disagio psichico, portandola a volte anche verso un disturbo post traumatico da stalking» spiega la psicologa Barbara Notarbartolo, intervenuta per parlare del fenomeno che sta prendendo piede anche tra gli adolescenti, «è doveroso intervenire con aiuti terapeutici nei confronti della vittima ma anche del reo».

Alcuni relatori del convegno, tra cui Mario Brancato, avvocato e presidente dell’associazione Onda (Osservatorio nazionale sulla salute della donna), sono unanimi nel ritenere che «la legge 612 bis va migliorata», perché così com’è, «lascia spazio a dubbia interpretazione» a cui più facilmente si può appellare la difesa dello stalker ; in più «la pena da sei mesi a quattro anni è troppo bassa; spesso è complicato determinare le modalità di esecuzione della sanzione e sempre più spesso si arriva al patteggiamento»; e infine aggiunge: «si dovrebbero porre in essere altri correttivi come il ricovero coatto, anziché la detenzione o gli arresti domiciliari» che potrebbero soltanto «inasprire lo stalker». 

Non è dello stesso parere Consoli che giudica qualsiasi norma imperfetta per forza di cose, «perché nasce generale e astratta, va interpretata ai casi concreti». Tutto deve partire «da un’indagine fatta bene, che raccolga quante più dichiarazioni possibili di persone informate sui fatti, che indaghi sui tabulati telefonici e su qualsiasi altra prova. E per i reati più gravi la misura da preferire a difesa della vittima e senz’altro il carcere». Anche chi non se la sente di ricorrere subito a una querela, la normativa prevede la possibilità che la vittima possa esporre i fatti all’Autorità di Pubblica sicurezza che può procedere con un primo ammonimento verso il persecutore.

E’ il dirigente della Questura di Catania Marilina Giacquinta – dopo aver esplicato l’importanza della perfetta simbiosi tra Polizia, Procura e Gip – a tratteggiare l’identikit dello “stalker-mentore”: «è un rifiutato, narcisista e rancoroso; è uomo, a Catania per esempio lo è l’85% degli stalker secondo dati statistici». Giacquinta non è ottimista «questa situazione continuerà, fino a quando ci saranno rapporti uomo-donna/carnefice-vittima, dove la donna è un oggetto di consumo in un rapporto morboso-ossessivo, di cui a volte non è nemmeno consapevole». La dottoressa Notarbartolo però sottolinea come tra gli adolescenti è «in aumento lo stalker donna, o bulla». 

Insomma, il nocciolo del discorso è: denunciare i reati che calpestano la libertà come autodeterminazione dell’individuo e la dignità, nonostante i limiti della legge e delle sue applicazioni. C’è chi l’ha fatto e ora non ha più paura.

Stefania Oliveri

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