St, tre mesi di stipendio pieno a lavoratori «Ma non siamo sereni pensando al futuro»

«Il primo stipendio di un neoassunto della STm, un tempo, serviva per comprare casa. Adesso è preferibile risparmiare, e pagare l’affitto». Sono le storie di vita e lavoro che raccontano i dipendenti catanesi del colosso mondiale di componenti microelettronici, che da oltre 50 anni ha una delle sue sedi nel territorio etneo. Nell’ultimo decennio la situazione è peggiorata, parecchio, come dimostrano i tre mesi di cassa integrazione accettati da 2020 dipendenti. Da gennaio torneranno tutti a percepire lo stipendio pieno, ma i lavoratori non sono sereni: «L’azienda non ha mai licenziato, ma è priva di un piano industriale a lunga scadenza», dice il segretario Ugl Angelo Mazzeo. Come garanzia di impegno, alla società, il sindacalista chiede «il completamento dell’edificio M9 che, messo in funzione, potrebbe rilanciare affari e garantire occupazione». 

STm impiega oltre
4000 persone nello stabilimento della zona industriale. Da ottobre, a causa di problemi economici, per 2020 lavoratori scatta la cassa integrazione. Il 25 per cento di loro, a giro, rimane a casa dieci giorni al mese. Nello stipendio mensile la turnazione ha significato «un sacrificio di circa duecento euro ciascuno – spiega Mazzeo – Cifra che pesa un sacco su famiglie monoreddito, spesso con più d’un mutuo da pagare». Da gennaio, però, l’azienda assicura che tutti i dipendenti torneranno a percepire la piena retribuzione, almeno fino a marzo. Ma senza certezze su quanto accadrà da aprile in avanti, i progetti di vita dei lavoratori non guardano oltre quella data: «Invece di spendere o investire lo stipendio, come in passato, si preferisce risparmiare». La motivazione sarebbe pure un’altra, in parte legata alla crisi del colosso.

Secondo il rappresentante sindacale, che lavora nello stabilimento da 15 anni, «ottenere prestiti dalle banche è diventato più difficile per noi lavoratori STm». Ciò sarebbe  dovuto, oltre alle difficoltà economiche degli istituti bancari,  pure al fatto che «il nome dell’azienda non rappresenta più una garanzia – sostiene Mazzeo – e i direttori di banca ci pensano su due volte prima di concedere dei finanziamenti a noi dipendenti». In dieci anni l’impresa è passata dal terzo al dodicesimo posto nella graduatoria delle case produttrici di componenti elettronici. «Non può essere stata solo colpa del mercato anche le scelte del management hanno inciso nella gravità crisi». Situazione che gli impiegati vivono «con tanta preoccupazione», convinti però che esista la strada per rilanciare la produttività dello stabilimento. 

Il consiglio che parte dal basso, diretto ai vertici di STm, è «definire un piano industriale a lunga scadenza, che punti sulle opportunità offerte dall’M9». È questo il nome della nuova ala dello stabilimento «destinata alla produzione di tecnologie più avanzate, che permetterebbero il rilancio sul mercato e la garanzia di occupazione». L’apertura dell’impianto, prevista nel 2017, è già stata posticipata di un anno. «Non ci sono abbastanza fondi per terminare la costruzione», sostiene Mazzeo. Il rischio è che la situazione resti in stallo. «Considerato che – conclude il sindacalista -, senza un piano di rilancio e di aiuti da parte della Regione, non vengono più concessi gli aiuti statali». STm avrebbe pure chiesto dei fondi al Mise «ma anche se venissero concessi non sarebbero sufficienti a finire i lavori all’M9».

Marco Di Mauro

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