Senza stipendi e pocket money, le difficoltà degli ex Sprar «Tensioni sempre più forti, c’è chi attende soldi da 15 mesi»

Come si può lavorare serenamente quando attendi 15 mesi arretrati di stipendio? Specie se il tuo è un lavoro delicato, a contatto con chi scappa da miseria e guerre e che ha bisogno di essere tutelato in un mare di burocrazia e ostilità? E’ quello che si chiedono da più di un anno i 29 lavoratori della cooperativa Sviluppo Solidale e del consorzio Sol.Co, impiegati in quattro strutture in città all’interno dell’ex programma Sprar, oggi Siproimi, per l’accoglienza di titolari di protezione internazionale, di richiedenti asilo e di minori stranieri non accompagnati.

«La situazione è drammatica – dicono i lavoratori  – con un rimbalzo di responsabilità tra la cooperativa e il Comune di Palermo. Noi sappiamo che il ministero dell’Interno, invece, è molto veloce e rigoroso nell’erogazione dei fondi destinati all’accoglienza». A essere tenuta sotto scacco è innanzitutto un’equipe multidisciplinare, composta da un insegnante di italiano, un operatore legale, tre assistenti sociali, tre psicologhe, nove operatori all’accoglienza, cinque operatori ausiliari, due notturnisti, due coordinatori e un mediatore. «Siamo giovani – continuano i lavoratori – e viviamo questo stallo con estremo disagio. Tra di noi ci sono lavoratori monoreddito, e con quest’ansia si danneggia anche il supporto che diamo nelle strutture. Nonostante tutto non abbiamo mai interrotto il nostro lavoro».

Ieri gli operatori della cooperativa hanno avuto un incontro con l’assessore alla Cittadinanza Solidale Giuseppe Mattina. Pare che i fondi del 2018 siano stati erogati dal Viminale a tempo debito, mentre quelli relativi all’anno appena trascorso sarebbero stati bloccati perché il Comune e le cooperative sociali non avrebbero rendicontato le spese relative al 2018. In ogni caso da quell’incontro non sono stati definiti orizzonti certi di pagamento per i lavoratori e gli ospiti della struttura, che restano dunque in affannosa attesa. MeridioNews ha provato a contattare l’assessore Mattina per avere ulteriori ragguagli, finora senza esito. 

D’altra parte la cooperativa Sviluppo solidale non è la sola a essere in difficoltà, visto che il settore dell’accoglienza da anni denuncia un sistema contorto che, inevitabilmente, si ripercuore sempre sugli anelli più deboli della catena. Vale a dire, in questo caso, i 47 migranti adulti e i 12 minorenni che sono ospitati nelle quattro strutture gestite dalla cooperativa Sviluppo Solidale. «Non è facile tenere sotto controllo questa situazione – osservano gli operatori -, perché le tensioni si fanno sempre più evidenti».

A confermare le difficoltà è il racconto di Elisabeth Nicoletti, un’operatrice che lavora presso lo Sprar per minori stranieri non accompagnati di via Roma da pochi mesi. «Facevo la mediatrice culturale – dice Elisabeth – poi ho smesso perché rischiavo l’ulcera. A dicembre sono venuta a conoscenza della possibilità di lavorare nella struttura di via Roma. Ho accettato, ben consapevole della situazione e dei ritardi che nel sociale e ancor di più nel mondo dell’accoglienza sono molto diffusi. Se io ho cominciato da poco, e ovviamente al momento non ho visto un euro, ci sono colleghi che non prendono lo stipendio da 15 mesi, e sono molto scoraggiati. L’ultima triste novità in questo senso è che negli ultimi tempi non è stato dato neanche il pocket money ai ragazzi». Previsto per legge, il pocket money è ciò che dei fondi destinati all’accoglienza (considerato che la gran parte va alle cooperative per garantire ai migranti vitto, alloggio e servizi di assistenza) entra direttamente nelle tasche di rifugiati e richiedenti asilo. Si tratta di pochi spiccioli, di solito due euro e 50 al giorno (ma a volte anche meno) che ai giovani di via Roma davano comunque una parvenza di indipendenza economica, almeno per le piccole spese di ogni giorno.

«Gli si toglie quello che già era una miseria – conferma Elisabeth – La giustificazione è che siccome il Comune non paga da molto tempo, la cooperativa deve sospendere il pocket money. La situazione d’altra parte è ben nota, e non è la prima volta che avvengono episodi del genere. Ciò ha fatto sì che le cooperative sociali si indebitassero con le banche. C’è chi sta pensando di fare una protesta. Gli stessi ragazzi all’interno della struttura sono smarriti, molti temono di potersi nuovamente ritrovare in mezzo a una strada come già avvenuto in passato. Ecco perché, oggi più che mai, è necessaria una presa di posizione degli operatori: vittime, insieme agli utenti, di questa situazione assurda». A dar manforte all’appello di Elisabeth sono anche gli altri operatori delle strutture: da Antonio Testa (il più “anziano” in servizio, che lavora per la cooperativa dal 2011) agli ultimi arrivati Carlo Bonaccorso e Federica Amatori. A settembre 2019, d’altro canto, c’era già stato un deciso cambio dell’organico nella cooperativa, con molte persone che avevano scelto di andar via proprio a causa dei ritardi nell’erogazione dello stipendio.

Quel che è peggio è che la situazione palermitana è spia di un malessere più generale. Come ha dimostrato il report diffuso negli scorsi giorni dall’associazione Borderline Sicilia, che dal 2008 monitora la situazione dei migranti sul teritorio regionale. «Nel 2019 la situazione dei migranti vulnerabili in Sicilia è stata resa ancora più drammatica dai tagli ai servizi dedicati operati dal decreto sicurezza, che ha bloccato l’accesso all’accoglienza nei centri Sprar/Siproimi a tutti i vulnerabili non titolari di protezione internazionale – scrive Borderline Sicilia – A rendere più difficile la presa in carico dei soggetti vulnerabili concorrono la carenza di servizi sui territori provinciali e la mancanza di personale formato per individuare le vittime di tortura o trattamenti inumani e degradanti. Una volta in Italia, all’interno degli hotspot e dei CAS, continuano a essere inflitte “ferite” ai migranti sopravvissuti all’inferno libico ed al viaggio in mare, costretti a vivere in condizioni vergognose, privi dell’assistenza di cui necessiterebbero».

Andrea Turco

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