Se la società non vuole più dirsi cristiana (Parte II)

Nel libro “Senza radici” di Marcello Pera e Joseph Ratzinger, l’allora Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, riflette sul rischio di assistere alla messa in discussione dei diritti umani, il rischio di vedere disgregato il valore della famiglia e l’estromissione sempre maggiore della religione dalla vita civile. Marcello Pera risponde “La democrazia presuppone a proprio fondamento i valori della persona, della dignità, dell’uguaglianza, del rispetto; togliete valore a questi valori e avrete tolto la democrazia”.

Secondo queste posizioni vi può essere il rischio,  mettendo in discussione le fondamenta della società, che venga a mancare la democrazia rischiando di sfociare in quei totalitarismi che hanno contraddistinto il novecento. Secondo lei, Don Ruggieri, è un rischio da considerare?
E’ interessante raffrontare il confronto tra Ratzinger e Pera con quello tra Ratzinger e Habermas. Nei due confronti si delinea quasi perfettamente la posizione dei tre. A me pare che la posizione di Pera sia della religione come instrumentum regni. In altri termini, anche una persona che si ritiene non credente, che si dichiara laica ha bisogno della religione. Secondo Habermas nella società non può mancare l’apporto religioso. Ma è necessario considerarlo come qualsiasi altro contributo: fa parte della ricchezza dei cittadini, ma che può essere messo in gioco secondo le regole della democrazia. La posizione di Ratzinger è molto più difficile perché anche lui accetta che il metodo possa essere quello del confronto e non quello dell’imposizione. Ma è anche vero che c’è una sfumatura ulteriore nella sua posizione: lui è convinto che il prossimo debba comunque accettare la religione senza potersi sottrarre.
Io credo che i cristiani debbano mettere in gioco tutti se stessi, la propria sensibilità religiosa, i propri valori accettando la condizione ugualmente paritaria e rispettando il diritto delle minoranze. Devono rispettare il diritto dell’altro nella misura in cui esso tocchi convinzioni religiose. C’è un livello della persona che non può mai essere messo in discussione.

In questo libretto credo che Ratzinger sia caduto un po’ nella trappola di Pera. Ci sono state sempre posizioni integraliste nell’Occidente e Pera ne è un’espressione. A volte vedo un’esasperazione dei toni che non corrisponde alla realtà dei problemi. Il problema chiave, come detto, riguarda la fondazione del diritto, perché stiamo vivendo una profonda trasformazione della nostra base sociale, dove emergono minoranze che appartengono a tradizioni religiose e giuridiche completamente diverse: prendiamo l’Islam e l’Induismo. Secondo me, oggi nella nostra società non è possibile adottare il modello dell’integrazione che in Europa è stato usato in passato per l’immigrazione, erede della rivoluzione francese. L’immigrato è obbligato ad osservare le nostre leggi e i canoni fondamentali della nostra civiltà. C’è un campo comune che l’immigrato deve accettare, a prescindere di quali siano le sue tradizioni. L’esempio più tipico di questa posizione è quello francese, in cui non è possibile mostrare negli edifici pubblici alcun distintivo religioso. Non funziona più il modello dell’integrazione perchè la società sta andando incontro al modello multiculturale. Non possiamo più attenerci alla concezione della laicità ereditata dalla rivoluzione francese perchè le comunità religiose intendono affermare la loro identità di gruppo e pretendono sempre più insistentemente un loro riconoscimento.
Il modello multiculturale, mai adottato in Europa, di fatto è adottato negli USA. La costituzione americana sancisce semplicemente che il congresso è incompetente ad emettere leggi che promuovano o mettano in svantaggio qualsiasi religione, mostrandosi incompetente rispetto al fenomeno religioso.
Questo permette che il modello diventi, per dichiarata incompetenza dello Stato, multiculturale.

In Italia la Chiesa cattolica rappresenta una voce autorevole che, negli ultimi tempi, sta intervenendo sempre più spesso nel merito della fondazione del diritto. Come interpreta quindi le prese di posizione della Conferenza Episcopale Italiana prima sul referendum sulla procreazione assistita e adesso sui PACS?
Per quanto riguarda i patti di solidarietà, che poi riceverebbero sanzione giuridica e quindi per le unioni di fatto che possono essere sia omosessuali, sia eterosessuali, parlare di una posizione unitaria della Chiesa mi pare un po’ difficile. Perché l’episcopato francese non si riconosce nella posizione di quello italiano. L’accettazione della prospettiva dei PACS è stato il punto di forza della gerarchia cattolica spagnola contro il programma di Zapatero. Parlare di posizione univoca della Chiesa per quanto riguarda i PACS non lo trovo molto esatto. La posizione dei vertici della CEI su questo argomento, mi sembra abbastanza pretestuosa perchè nessuno in Italia, che io sappia, propugna l’equiparazione delle unioni di fatto al matrimonio. Il problema evidentemente che si pone riguarda la garanzia dei diritti degli individui a cui lo Stato non può rinunciare. In tal caso, se è vera la mia interpretazione, bisogna capire cosa si celi dietro questo attacco ad un certo programma politico.

Lei quindi vede qualcosa di politico dietro le posizioni di Ruini?
Certo, perché non esiste nulla di dottrinale. Lo Stato che riconosce i diritti della prole delle unioni di fatto non attenta al matrimonio. Quindi su questo punto non c’è un’affermazione di principio sul valore delle unioni di fatto. C’è semplicemente la garanzia della tutela dei diritti. Non c’è dichiaratamente nessuna equiparazione al matrimonio che è la base della convivenza civile sancita anche dalla costituzione. Il problema è sapere qual è la preoccupazione che muove queste prese di posizione.

Il problema che viene posto da parte della Chiesa è che certe posizioni pretendono di diventare diritto, partendo da un presupposto di capriccio e di desiderio. Il capriccio si trasforma in desiderio per poi pretendere un riconoscimento dal legislatore. Capisco che il confine è molto sottile, ma come, secondo lei, è possibile distinguere un capriccio individuale dal diritto di una comunità?
Lei ha ragione ad evocare questi termini perché sono stati usati da esponenti ecclesiastici. Non mi pare che questi siano i termini della questione. Andando nel merito di ogni singolo problema occorre trattarlo per sé. Altro è la posizione della Chiesa sull’aborto, altro è la posizione della Chiesa sui PACS. Sull’aborto evidentemente c’è una posizione dottrinalmente solida: il divieto di uccidere l’innocente. Altro è la discussione sui PACS, su cui nella dottrina cristiana non c’è niente. Non c’è niente che impedisca  il riconoscimento dei diritti di un bambino di un’unione di fatto.

L’opposizione ad una legislazione che tuteli le coppie di fatto nasce, secondo me, dalla preoccupazione di vedere disgregata la famiglia, fondamento della società…
Questo può essere anche vero, ma come si fa ad impedire? Tanti fatti nella società possono essere pericolosi e causare effetti deleteri. Non per questo il legislatore è in grado di impedirlo. Può essere vero: il moltiplicarsi delle unioni di fatto è un fattore inequivocabile della crisi del matrimonio. Poi se è la causa o se è l’effetto è difficile poterlo stabilire.

Links:

Messaggio di Benedetto XVI a Marcello Pera del 11 Ottobre 2005
 http://www.magna-carta.it/riforme%20e%20garanzie/0098_Norcia_
Benedetto.asp

Riccardo Consoli

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