Scuola per kamikaze

Avete mai avuto la sensazione di dover lottare per la vostra sopravvivenza? C’è chi questo stato d’animo lo vive ogni volta che mette in moto l’auto. A Catania per la precisione. E dovendo muoversi per questa città  viene in mente una considerazione che lì per lì lascia senza fiato: alla faccia di tutti i campi d’addestramento sparsi nel mondo, Catania è l’unica, vera, efficace scuola per kamikaze. Quante volte abbiamo urlato parole come “assassino”, “pazzo” e varie che lasciamo alla vostra immaginazione vedendo un motorino tagliarci la strada o una macchina passare con il rosso? Kamikaze, appunto.

Che dire? Tralasciando l’ovvio – non si può circolare, troppo traffico, pochi parcheggi – la cosa che lascia sgomenti è guidare. Attraversando determinati quartieri sembra che sia stata approvata una sorta di devolution nostrana per il volante. Partiamo con una chicca: via Garibaldi. Qui sembra che la norma sia parcheggiare in seconda fila, attraversare la strada senza guardare, camminare con il motorino stando alla destra e alla sinistra delle auto (a volte anche contemporaneamente, misteri della fisica), non rispettare semafori e stop. Cosa davvero incredibile è vedere come il traffico scorra a semaforo rosso, mentre non appena si accende il verde ci si blocca. Ovviamente non prendiamo in considerazione il bel vigile che languisce all’angolo con un viso stravolto dai troppi caffè e sigarette annesse. La situazione lascia perplessi quando da una delle innumerevoli stradine che incrociano questa via sbucano orde di ragazzini (età massima 15 anni) in sella a motorini sbuffanti e blateranti mostrando un tale sprezzo dell’educazione e del normale senso civico da far urlare.

Finalmente il camion davanti a noi – quello completamente arrugginito e talmente malmesso da credere che trasportasse merci già da prima dell’inizio della prima guerra mondiale – riparte e si arriva alla seconda tappa del nostro viaggio: piazza Palestro, meglio nota come Fortino. Qui la precedenza spetta a chi ha la macchina più grossa o più vecchia (a volte si verificano i due casi assieme) e  – a meno di essere una versione nostrana di Hulk – non resta che posare con la delicatezza di un rinoceronte il piedino sul freno e ingoiare quelle quattro paroline “amabili” che rimbombano nella testa. Studiare lingue può essere utile nella guida: nel caso ci si trovi in una situazione di estrema rabbia si possono mormorare una serie di maledizioni e imprecazioni nei vari idiomi studiati (e a Catania si imparano anche russo e arabo) con un sorriso sulle labbra, la sicurezza di non essere compresi e quindi  non rischiare di fare la conoscenza del cric dell’interlocutore.

Tralasciando corso Indipendenza e le zone limitrofe, l’Oscar della variazione delle regole stradali spetta a tutta quella serie di rotonde create sulla Circonvallazione. La rotonda, se usata da persone che abbiano superato senza problemi un normalissimo esame di guida, è un ottimo modo per snellire il traffico. Ma se la suddetta si trova a Catania è più un pericolo che altro. Teoricamente la precedenza si da a chi impegna la rotonda. Vana disquisizione. In questo luogo incontrollato e incontrollabile che è la nostra città passa chi va più veloce, ha la faccia più tosta, è dell’umore più nero; e comunque – a quanto pare – chiunque abbia sconfinata fiducia nelle proprie (in)capacità e nell’intelligenza di chi non lo tampona.

Finalmente si riesce a oltrepassare la fatidica linea di confine che separa Catania dal mondo (il ponte di Monte Po) per immettersi in quella bolgia infernale, pericolosissima e piena di molti degli incapaci che affollano le strade catanesi che è la statale per Paternò. Sopravvissuti a tutto questo si arriva (come ogni mattina si augurano le nostre madri) a casa sani e salvi. Con la pazienza ai limiti dell’umana sopportazione e la testa colma di scene raccapriccianti di sorpassi da infarto e frenate repentine, ma a casa. Non pensando a domani, quando si dovrà ricominciare tutto dal principio e sperando che magari un’intera città di terroristi si svegli con la macchina confiscata.

Carmen Valisano

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