«Due anni fa ho chiesto al provveditorato di Catania la possibilità di avere una classe a tempo pieno. Una su 17. Ho consegnato un malloppo di documenti: le richieste delle famiglie, la mia relazione sulla dispersione scolastica, la lettera dei servizi sociali del Comune. Non è cambiato nulla». Tarcisio Maugeri è il preside dell’istituto comprensivo Livio Tempesta, di San Cristoforo, cuore popolare e difficile di Catania. Lotta tutti i giorni per i bambini che a scuola non ci vanno, contro gli allagamenti quando piove, gli atti vandalici, le pareti bucate con il ferro a vista, le discariche abusive che a volte bruciano mentre gli alunni raggiungono le classi. Lotta per provare a far capire a piccoli e famiglie per quale motivo «le istituzioni e le regole vanno rispettate». Per questo, qualche tempo fa, si è pure beccato un po’ di schiaffi e graffi da una mamma che pretendeva di far uscire il figlio accompagnato solo dalla sorella minorenne. «Ma io non sono uno che si lamenta, amministro quello che ho».
Quando stamattina, il presidente della Regione Nello Musumeci e il suo assessore alla Formazione Roberto Lagalla incontreranno il nuovo ministro dell’Istruzione Marco Bussetti, tecnico scelto dalla Lega, e porteranno sul tavolo i gravi problemi irrisolti della scuola siciliana, dietro gli impietosi numeri ci sarà anche Tarcisio Maugeri. E migliaia di presidi, professori e maestri come lui. Che fino a tre anni fa dirigeva un istituto di Legnano e poi è stato catapultato nella Catania più complicata. «In Lombardia, oltre al tempo pieno, il Comune mi dava 11 euro ad alunno per i progetti in più. Qui è impossibile anche avviare il tempo pieno in una classe». Alla Livio Tempesta, su 650 studenti tra scuola dell’infanzia, primaria e medie, solo 23, cioè una classe dell’asilo, rimangono a scuola fino alle 16.30.
In cima ai problemi della scuola siciliana c’è proprio il tempo pieno, cioè 40 ore settimanali di didattica anziché 27: nel 2017 solo il 4 per cento degli alunni delle primarie ne ha usufruito. La media nazionale sfiora il 30 per cento, in Emilia Romagna sono al 49, a Milano punte di oltre il 90. In un percorso scolastico di cinque anni, sono oltre duemila ore di differenza, i bambini siciliani accumulano due anni in meno di lezioni rispetto ai coetanei di tante regioni del Nord. «Certo che poi il 5 luglio usciranno i risultati delle prove Invalsi e saremo qui di nuovo a parlare delle grandi differenze di preparazione tra Settentrione e Meridione», sottolinea Mila Spicola, insegnante palermitana e consulente tecnica del Ministero dell’istruzione. Per fare il tempo pieno servono però anche le mense, che spesso i Comuni non riescono a garantire. E le scuole si arrangiano. «A Siracusa, nella frazione di Cassibile – racconta Paolo Italia, sindacalista della Cgil – alle famiglie è stato chiesto di pagare 4,50 euro al giorno e non se n’è fatto niente. Ad Augusta invece i dirigenti scolastici sono riusciti ad avviare delle convenzioni con privati, chiedendo ai genitori costi contenuti e il servizio è partito».
Eccola la Sicilia a macchia di leopardo, dove non c’è nulla di pianificato, ma si lascia il futuro della scuola all’intraprendenza dei singoli. Impietoso anche il confronto sugli asili. «Nell’Isola otto-dieci bambini su cento da zero a tre anni frequentano la scuola dell’infanzia, in Emilia sono 50 – precisa Spicola – nei quartieri difficili ci sono bambini che arrivano in prima elementare che non hanno mai aperto un libro, non sanno cos’è il cinema, gli mancano le cosiddette conoscenze informali. Faticano a stare seduti. Serve investire sul recupero delle competenze di base: leggere, scrivere e fare di conto, se non annulliamo le fragilità all’ingresso, il gap non lo recupereremo mai». Secondo Giuseppe Granozzi, preside alla scuola Sciascia dello Zen di Palermo, «serve anche gratificare i docenti che insegnano nelle scuole a rischio, altrimenti se ne vanno, invece vanno fidelizzati grazie e sistemi di premialità».
Oggi sul tavolo del ministro Bussetti, il governo Musumeci porterà una serie di istanze: il superamento delle difficoltà nel reclutamento dei docenti di sostegno, anche grazie ad assegnazioni provvisorie di docenti siciliani (il prossimo anno torneranno sull’Isola circa 5.500 docenti siciliani per il sostegno); l’adeguamento degli organici di diritto; interventi contro la povertà educativa. E poi una proposta di sperimentazione che cominci a colmare il gap del tempo pieno: «Vogliamo iniziare dalle aree più disagiate delle città metropolitane – spiega l’assessore Lagalla a MeridioNews – proponiamo al ministero di istituire un tavolo per mettere insieme fondi Pon Scuola e quelli dei Patti per il Sud. Serviranno a prolungare l’orario scolastico nelle scuole a rischio, speriamo già a partire da metà dell’anno prossimo. Successivamente – conclude – questa sperimentazione dovrebbe essere messa a regime con personale di ruolo». Resta da capire se governo regionale o statale si riferiscano al tempo pieno come in altre regioni o a varianti di tempo prolungato col rientro o varianti simili come già si fa alle medie. In realtà attività pomeridiane discontinue e su progetto già esistono, ma non sono strutturali e faticano a determinare un miglioramento sistemico dei rendimenti.
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