Scoglitti, l’ambulante non voleva rapire la bimba L’ipotesi dopo la nuova versione data dai familiari

Ram Lubhay non voleva rapire nessuna bambina. È questa l’ipotesi che, giorno dopo giorno, si rafforza negli investigatori che seguono il caso del 43enne senza fissa dimora di origini indiane, accusato di sottrazione di minore. L’episodio è accaduto sul lungomare di Scoglitti, lo scorso 16 agosto e, da allora, riferiscono fonti investigative, alcuni testimoni, tra cui anche alcuni famigliari della bambina, hanno cambiato la loro versione dei fatti

Inizialmente si era detto che Lubhay avesse preso in braccio la piccola e si fosse allontanato, rincorso dal padre che gli avrebbe strappato dalle mani la bambina. Quindi l’indagato se ne sarebbe andato, per essere rintracciato dai carabinieri poco dopo nei paraggi del lungomare. Un racconto che, col passare delle ore, sarebbe cambiato. Tutti i testimoni concordano su un punto: il 43enne ha preso in braccio la bambina che era salita in strada dalla spiaggia. Ma, nella nuova versione, non si sarebbe affatto allontanato. Piuttosto si sarebbe mosso solo di pochi metri e, soprattutto, sarebbe rimasto fermo nel momento in cui è stato richiamato dai genitori della piccola. 

A questo si aggiunge un dettaglio non di poco conto: il senza fissa dimora sarebbe stato ubriaco in quel momento. «Risulta che avesse bevuto un cartone di vino», confermano fonti investigative. Perché non fuggire se avesse voluto davvero rapire la bambina? E perché non scappare una volta scoperto? Sono queste le domande a cui gli inquirenti non sanno dare risposta. L’indagato si è sempre detto innocente, ma non avrebbe saputo spiegare i motivi per cui ha preso in braccio la minore. Forse, è questa l’ipotesi che si fa strada, il gesto sarebbe derivato semplicemente dall’ubriachezza. Ma, in ogni caso, mancherebbe l’elemento psicologico del rapimento. 

Altro punto poco chiaro della vicenda è la denuncia alle forze dell’ordine. È certo che, subito dopo aver recuperato la bambina, il padre non chiama i carabinieri e lascia andare l’uomo. Secondo quanto riferisce un investigatore, a convincere la famiglia a dare l’allarme avrebbero contribuito altri residenti che conoscevano Lubhay e che, preoccupati, avrebbero riferito dei suoi piccoli precedenti: furti e reati contro il patrimonio, che nel 2015 gli erano costati un decreto di espulsione dall’Italia. 

Molto si è detto e si è scritto anche rispetto alla situazione giuridico-amministrativa dell’indagato. Secondo quanto riferisce la Questura di Ragusa, Lubhay non aveva permesso di soggiorno, perché gli era scaduto da tempo. In più non aveva rispettato il decreto di espulsione del 2015. Un nuovo ordine di abbandonare l’Italia entro sette giorni gli viene consegnato giorno 16, dopo che il pubblico ministero Giulia Bisello ritiene di non convalidare il fermo (scelta che scatena la polemica politica e che la Procura iblea difende ricordando che la legge non prevede custodia cautelare per il tentato sequestro). 

Sempre in base alla ricostruzione della Questura, lunedì 22 l’uomo ferma una pattuglia della polizia e si fa portare in questura dove denuncia di avere ricevuto minacce di morte. Nella stessa giornata viene trasferito in una struttura protetta da dove, però, il giorno dopo scappa, tornando dalle forze dell’ordine. È martedì mattina. Lunhay resta negli uffici della Questura fino alla sera, cioè fino alla scadenza dei sette giorni entro i quali avrebbe dovuto lasciare l’Italia. A questo punto viene trasferito nel Centro di identificazione ed espulsione di Caltanissetta. Il tutto senza il coinvolgimento del suo avvocato, Biagio Giudice, che afferma di averlo «saputo dai giornali, anche perché non di mia competenza». 

A breve Lubhay verrà rimpatriato in India. Ma, intanto, la vicenda viene così definita da un investigatore: «Quello che credo, alla luce di come si è evoluta questa storia, è che siamo davanti a un ubriaco che ha preso in braccio una bambina e che è rimasto lì, senza scappare».

Carmelo La Rocca

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