Non solo il boss Salvatore Giuliano, i consiglieri comunali Salvatore Spataro e Massimo Agricola e il comandante della polizia municipale Nicola Campo. Nella relazione della prefettura che, sei mesi fa, ha portato allo scioglimento per infiltrazione mafiosa del Comune di Pachino ci sono anche altre figure che hanno avuto un ruolo sulla scena pubblica, per fatti legati alle attività dell’ente o perché coinvolte in importanti inchieste giudiziarie.
I loro nomi, nel documento inviato al ministro degli Interni Matteo Salvini a conclusione dei sei mesi di ispezione, sono coperti dagli omissis ma MeridioNews è in grado di rivelarli. Prima, però, conviene ricordare il contesto che ha portato alla conclusione dell’esperienza della giunta guidata dal sindaco Roberto Bruno, quando mancavano pochi mesi al voto.
La cittadina del Siracusano negli ultimi anni è stata scossa da diverse inchieste della magistratura che, in particolar modo, hanno fatto luce sui tentativi da parte del capomafia locale Salvatore Giuliano, ritenuto vicino al clan catanese dei Cappello, di riprendere il controllo del territorio dopo essere tornato in libertà, nel 2013, in seguito a una lunga detenzione. Per gli inquirenti Giuliano si sarebbe mosso su due binari: da una parte la scelta di accreditarsi sulla scena imprenditoriale con la costituzione di un’azienda agricola intestata al figlio e a persone di fiducia, dall’altra creare agganci all’interno del consiglio comunale per condizionarne le scelte politiche. Da questo punto di vista il principale punto di riferimento sarebbe stato il consigliere Spataro, che dal canto suo non ha mai negato di essere legato a Giuliano da un’amicizia di lungo corso.
Nella relazione si fa cenno a entrambi i temi. Per quanto riguarda l’attività imprenditoriale dei Giuliano tramite la società La Fenice, molti elementi sono emersi dalle carte dell’operazione Araba Fenice in cui è stata fatta luce sull’imposizione a produttori e rivenditori delle condizioni decise dal capomafia. Ma c’è di più: Giuliano, all’epoca della precedente amministrazione Bonaiuto (coinvolto nell’inchiesta Maschere nude, ndr) sarebbe riuscito a ottenere un finanziamento da parte del Comune schermando la propria presenza tramite un’associazione omonima. L’evento per cui l’amministrazione pagò una cifra cospicua sarebbe stata una festa dell’anguria, manifestazione inserita nel 2013 nel programma estivo del Comune. Per quanto riguarda, invece, l’impegno nella campagna elettorale 2014, gli inquirenti nei mesi precedenti alla campagna elettorale intercettarono Giuliano ragionare sulla possibilità di candidare a sindaca la propria figlia.
Dell’ex consigliere Massimo Agricola, anche lui coinvolto in Maschere nude, si cita la revoca del titolo di guardia giurata senza specificare che la misura fu presa dopo che l’uomo, mentre si trovava all’interno di un bar, estrasse la pistola senza che ce ne fosse il motivo e inavvertitamente si sparò a un piede. Ma a essere citato dalla commissione prefettizia è anche un terzo consigliere comunale. Il cui nome finora non è stato associato allo scioglimento. Si tratta di Corrado Nastasi. Indicato nella relazione come «titolare di autoscuola», di lui si sottolinea il passaggio all’opposizione dopo essere stato eletto nelle file della maggioranza. Mentre al contempo si segnala come Spataro e Agricola, ufficialmente all’opposizione, in alcuni passaggi cruciali della sindacatura Bruno abbiano fatto da stampella all’amministrazione.
Di Nastasi viene citato anche il figlio, indicandolo come tecnico di fiducia – è un ingegnere civile – della famiglia del boss Giuliano. Ma non solo di essa. Il figlio di Nastasi, infatti, avrebbe lavorato anche per Benedetto Cannata, il cui nome è tra quelli coperti dall’omissis. Cannata è un volto noto alle cronache giudiziarie, per essere stato condannato in via definitiva per mafia nel processo Nemesi. Di lui si dice che è «amico intimo» di Nastasi padre, ma avrebbe frequentato anche Spataro. Sempre Cannata, inoltre, secondo la commissione prefettizia, avrebbe beneficiato della vicinanza a Giuliano per entrare in possesso di un terreno privato in località Punto Rio trasformato in parcheggio abusivo. Mentre su un terreno pubblico, concesso in subaffitto dal Comune anche durante il periodo in cui Cannata era già in carcere per mafia, il pregiudicato vi avrebbe collocato una trivella abusiva. Per questi casi all’ex sindaco Bruno viene contestata la mancanza di atti per «fare cessare la condizione di illegalità» nonostante lo stesso primo cittadino sarebbe stato a conoscenza dei fatti.
Un altro omissis cela invece il nome di Antonino Iacono, dipendente dei servizi cimiteriali e in passato consigliere provinciale. L’uomo – tra i candidati a sindaco dell’elezione 2014, quella su cui il boss Giuliano avrebbe provato a mettere le mani – a novembre dello scorso anno è stato arrestato nella maxi-operazione Revolution bet della procura distrettuale antimafia di Catania sugli affari che i Cappello e la famiglia Santapaola-Ercolano avrebbero fatto nella gestione delle scommesse on line.
Infine a essere menzionato è il deputato regionale Giuseppe Gennuso, di recente finito al centro dell’attenzione prima per l’accusa di voto di scambio ad Avola e poi per il patteggiamento della pena, a cui è seguito il reintegro all’Ars, per il traffico di influenze al Consiglio di Stato. Di Gennuso la commissione di indagine ricorda il coinvolgimento nella vicenda legata al consorzio Granelli e alla vendita di acqua durante la stagione estiva. Una storia finita sotto la lente dei magistrati e attualmente al centro di un processo. A riguardo all’amministrazione Bruno viene contestata l’irregolare gestione amministrativa di un servizio pubblico e la tarda requisizione del pozzo e dell’acquedotto. Va ricordato, tuttavia, che l’affidamento dell’erogazione idrica al consorzio vide diversi momenti di tensione, tra i quali una protesta eclatante di Gennuso che si legò in piazza e parlando di Bruno disse: «Un sindaco che nega l’acqua potabile ai suoi concittadini deve essere linciato». Frase che costò al deputato regionale il rinvio a giudizio per istigazione a delinquere.
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