Una tradizione in voga tra il ‘600 e la fine dell’800, ma che con il passare del tempo è stata dimenticata. Fino al 2013, quando un gruppo di artiste l’ha portata di nuovo in strada. Sono le ‘ntuppatedde, donne nubili o sposate che nei giorni della festa di Sant’Agata esercitavano un diritto, con la garanzia dell’anonimato: quello di andare libere per la strada. Da ormai tre anni Elena Rosa e alcune performer hanno ridato vita a questa tradizione, filmata nell’edizione dello scorso anno dai registi Giuliano Severini e Giovanni Nascisi nell’ambito di un workshop organizzato dall’Accademia di belle arti e coordinato dalla docente Ambra Stazzone. Il loro lavoro è diventato un documentario – ‘Ntuppatedde, appunto – che verrà proiettato venerdì alle 20.30 da Scenario pubblico.
«La tradizione non la conoscevo, ho letto del materiale e mi sono documentato», racconta Severini. Nato a Milano, ha vissuto a lungo in Sicilia prima di tornare in Lombardia per completare gli studi in fotografia. «La festa è di per sé complessa, ci sono moltissimi aspetti che potrebbero essere approfonditi. Quello legato alle ‘ntuppatedde è forse quello più contemporaneo», sottolinea.
Il lavoro di Severini è stato presentato per la prima volta al festival internazionale delle Scuole d’arte e design, a Torino, lo scorso luglio. Durante le riprese «è stato complicato capire le reazioni delle persone che circondavano le ragazze – confessa – Ma dal punto di vista documentaristico è stato molto interessante». Il regista ha seguito il gruppo nelle sfilate accanto alle candelore in processione. «Mi aspettavo un contrasto più netto tra i portatori e le ‘ntuppatedde – confessa Severini – Credevo quasi ci fosse uno scontro, invece mi sono dovuto ricredere».
«Istintivamente tutti sono piacevolmente d’accordo con la nostra presenza. Portiamo qualcosa in più, amplifichiamo il movimento gioioso delle candelore», racconta una delle componenti del gruppo, Elena Rosa. Poi aggiunge: «Altri, invece, non sanno come reagire. In fondo noi siamo auto-organizzate e ci siamo inserite in una festa fortemente codificata. Il nostro – precisa – non è un intervento a carattere religioso». Le ‘ntuppatedde – il cui gruppo fisso è formato da una quindicina di donne – sono arrivate alla quarta edizione nel nuovo secolo. La performance di quest’anno è in fase di preparazione ed è aperta alla partecipazione. «Facciamo un lavoro su noi stesse e su quello che faremo».
L’abbigliamento è quello descritto da Giovanni Verga: «un vestito elegante e severo» e un manto che copre anche la testa e «lascia scoperto soltanto un occhio per vederci e per far perdere la tramontana», si legge in una delle sue Novelle. Ma anziché il colore nero, le ‘ntuppatedde contemporanee hanno scelto il colore bianco, in omaggio «al candore di Sant’Agata», spiega Rosa. «Oggi viviamo in una condizione sicuramente più avvantaggiata rispetto al passato, ma abbiamo deciso di riprendere questa tradizione perché la libertà di una persona è anche uno stato interiore – afferma l’artista – E noi vogliamo celebrarla. Prendiamo spunto da questa figura di donna, Sant’Agata, che cercava anche lei la sua libertà».
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