Ruggero Albanese, il presidente sul piroscafo Il nipote: «Mio nonno portò il calcio a Catania»

Suo nonno fu tra coloro che scelsero i colori della maglia del Catania: «Il rosso della lava e l’azzurro del cielo». Era il 1926 e 
Ruggero Albanese (nella foto, il primo a sinistra) fondava – insieme ad altri dirigenti, Alberto Pappalardo e Saverio Gravina – la società sportiva Catania, che unì tutte le le squadre della città. Adesso anche il suo volto sarà tra i 40, scelti dai tifosi rossazzurri, che compariranno sui murales dello stadio Angelo Massimino. «È un riconoscimento dovuto a chi ha portato, per primo, il calcio a Catania», commenta il nipote, architetto, che porta lo stesso nome. Da generazioni, gli eredi non sono mai mancati a nessuna partita interna dei rossazzurri. Fino allo scandalo combine: «Quest’anno per la prima volta non andiamo». 

Atleta di tiro a segno, appassionato di calcio, giornalista. Tutto era stato, Ruggero Albanese, fuorché uno studente modello: «Fu espulso da tutte le scuole del regno – ricorda il nipote – per cattiva condotta». A svelarne il temperamento è un colorato aneddoto risalente a quando aveva dieci anni: «Era convinto, in quinta elementare, che il maestro l’interrogasse apposta per fargli fare cattiva figura con la sua fidanzatina. All’ennesima interrogazione finita a scena muta gli lanciò il panino che aveva come merenda». Il duro codice scolastico era povero di alternative e Albanese «fu sospeso per un intero mese». Scontata la punizione «il direttore lo accolse in classe dicendogli: “Te lo sei potuto permettere perché era il maestro. Voglio vedere se avresti avuto lo stesso coraggio con me”. Mio nonno gli lanciò il calamaio, tingendo il direttore di inchiostro». 

Terminati anzitempo gli studi, i genitori gli affidarono una gioielleria in via Vittorio Emanuele, rimasta in attività fino a circa venti anni fa. Intanto, ultimo figlio maschio dopo tre femmine, aveva preso a interessarsi al calcio. Nel 1919 era il presidente dell’Unione sportiva Catanese. Organizzò, per due anni, il campionato di calcio catanese. E il trofeo assegnato alla squadra vincitrice si chiamava proprio Coppa Ruggero Albanese. Nel 1929 contribuì a riunire tutte le squadre della città sotto un unico nome. E dentro una sola maglia: rossazzurra. Ma il gioco del pallone, in quegli anni, non era molto praticato, in Sicilia: «Col piroscafo mio nonno andava fino a Malta per acquistare, a sue spese, magliette, scarpini e pantaloncini», ricorda. Nell’ex colonia inglese era possibile trovare le attrezzature, anche se a costi non certo contenuti: «Svaligiò l’incasso di molti mesi della gioielleria e partì».

Alla sua scomparsa, nel 1951, fu proposto di intitolargli l’allora stadio Cibali «per il suo ruolo fondamentale nella diffusione dello sport in città nel primo dopoguerra», come ricorda il libro
Tutto il Catania minuto per minuto. L’impianto fu intitolato, nel 2002, ad un altro presidente: Angelo Massimino. Gli eredi della famiglia Albanese hanno continuato a seguire la squadra «sempre, come se ci appartenesse – ricorda l’architetto Albanese – Con qualunque tempo, in qualunque serie, almeno uno, tra gli eredi, era fra gli spalti a tifare. Anche nelle disgrazie, anche nelle giornate di lutto». In senso letterale: quando morì una loro zia, ci furono i funerali un’ora prima che giocasse il Catania. «Io e mio fratello stazionavamo fuori dalla chiesa. Si avvicina mio zio (il marito della defunta, ndr), e ci dice: “Che fate qua? Il funerale è finito. Andate allo stadio”».

Una tradizione interrotta quest’anno, al termine della stagione che ha visto il Catania coinvolto nell’inchiesta I treni del gol. «È stato il punto più basso mai raggiunto dalla nostra squadra», commenta il nipote dell’ex presidente. Nessun rappresentante della famiglia Albanese compra più il biglietto per lo stadio: «Non possiamo condividere la nostra passione con un proprietario che ha insultato, ridicolizzato e ridotto la nostra squadra a un livello di immoralità pari a una Juventus qualsiasi». Ma la passione per i colori rossazzurri, che suo nonno ha contribuito a scegliere, non si è spenta: «Torneremo, come sempre, come impazientemente speriamo, un attimo dopo che l’attuale proprietario sarà uscito di scena». 

Marco Di Mauro

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