Missione compiuta. La gara casalinga con il Brescia, pur essendo valida per la seconda giornata del girone di ritorno ed equiparabile dunque ad una semplice prova in itinere nell’economia della stagione, aveva tutti i crismi di un esame di maturità e il Palermo lo ha superato. Mostrando abilità e competenza in quasi tutte le materie. Anche se non ha brillato in alcune discipline (capacità di giocare a ritmi alti e incisività degli attaccanti, ad esempio, avrebbero richiesto uno studio più approfondito), la squadra ha fatto la differenza in altre ‘aree tematiche’ creando i presupposti per una vittoria (2-0) che, in attesa dell’impegno del Frosinone sul campo del Cittadella, vale il primato solitario in classifica. Fisicità, qualità dei singoli distribuite in tutti i reparti e ampio ventaglio di soluzioni in zona-gol. Ecco le differenze tra Palermo e Brescia. Ecco il ‘peso’ che ha spostato l’ago della bilancia dalla parte dei padroni di casa.
Il patron Zamparini ha vinto il duello a distanza con Cellino. Due vulcani ancora in piena attività. Proprio come il centrocampo rosanero, reparto che ha recitato un ruolo da protagonista lasciando una traccia significativa nel terzo successo interno consecutivo degli uomini di Tedino, il primo del 2018. Il fatto che Chochev, al di là del gol-lampo con un tap-in di testa dopo una respinta del portiere sugli sviluppi di un calcio d’angolo, sia stato il giocatore più pericoloso del Palermo non è una casualità. E’ l’effetto determinato dai meccanismi consolidati di una squadra che, anche in una giornata in cui gli attaccanti non riescono a pungere, ha a disposizione delle risorse alternative in grado di colmare certe lacune e determinare situazioni vincenti. L’acuto iniziale del bulgaro (che finora non aveva mai raggiunto quota quattro gol in campionato durante la sua esperienza con la maglia rosanero) e il punto esclamativo di Gnahoré (subentrato all’88’ ad un Nestorovski generoso ma con un basso indice di pericolosità) con una bella conclusione di destro a giro da fuori area a tempo scaduto sono state l’alfa e l’omega di una gara in cui, di fatto, si è visto il solito Palermo. Squadra a cui basta poco, complice il livello medio-basso degli avversari in questo torneo cadetto, per incanalare le partite sui binari più congeniali.
Pregi e difetti della compagine di Tedino, che ha confermato il collaudato 3-5-2 affidando la corsia di destra a centrocampo ad uno ‘spaesato’ Embalo sostituito dopo l’intervallo da Szyminski, sono ormai delle costanti. Il Palermo ha una solidità difensiva (sancita dal confortante dato di un solo gol al passivo negli ultimi sette turni) che le consente di neutralizzare l’onda d’urto degli avversari anche grazie al lavoro e ai sacrifici delle punte ma, al netto della prova maiuscola fornita dal portiere Minelli provvidenziale nel secondo tempo in almeno tre-quattro circostanze, fatica a chiudere le partite nel momento in cui ha la possibilità di sferrare il colpo del ko. Il sigillo di Gnahoré è arrivato troppo tardi. Se al 28’ della ripresa Posavec non si fosse superato deviando sopra la traversa un tiro ravvicinato dell’ex di turno Caracciolo, l’unico in tutta la gara da parte di un Brescia che non vince a Palermo da trentadue anni e costretto a fare i conti con la terza sconfitta di fila, il match avrebbe preso una piega diversa. E sarebbe stato davvero un peccato gettare al vento dei punti così importanti in una partita ampiamente sotto controllo.
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