Ritorno alla psichedelia (classica)

Quattro strumenti a fiato. Solo quattro. E il suono sembra uscire fuori da un’orchestra sinfonica al completo, sembra di sentire violini e pianoforti.

Niente chitarra, né basso o batteria, eppure sembra un gruppo “rock” in cui il ritmo è dato dai vari sax tenore, alto e baritono (rispettivamente Tim Holmes, Pete Whyman, Chris Caldwell), la velocità dal sax soprano (Graem Blevins), la massa dal complesso. Ritmi spezzati, veloci e poi subito rallentati, e di nuovo incalzanti, insistenti, pieni. 

Ogni pezzo viene presentato da Chris Caldwell, come a introdurre in un mondo onirico, a traghettare oltre il palco, oltre lo spazio fisico. Con la sola forza della musica.

“Noi non vogliamo insegnare niente a nessuno, non svolgiamo i nostri workshops con un’attitudine da “maestri”: stiamo li con gente di tutte le età, culture e abilità, ed è con loro che vogliamo creare qualcosa. È un processo sperimentale, ognuno mette qualcosa di suo, in una totale apertura e voglia di ascoltare, di suonare. Perché è nell’improvvisazione che nascono le idee e prendono forma”, ci spiegano Pete e Graem a proposito del loro inusuale approccio al pubblico tramite il workshop, che hanno portato un po’ dappertutto nel mondo. Un workshop fatto non solo di musica e prove, ma anche di esercizi sulla respirazione e sul contatto fisico, come ci ha confidato uno dei partecipanti di quest’anno (i Delta hanno tenuto un workshop simile qui a Catania già due anni fa, ndr). Esercizi “per dare e conquistare fiducia, perché questo è alla base di ogni gruppo che voglia davvero fare qualcosa assieme”, sottolinea ancora Pete.

“Ci rendiamo conto che anche in posti come l’Uzbekistan o la Cina, dove cultura e lingua sono totalmente diverse dalle nostre, la comunicazione non è mai un problema. Ci ritroviamo a lavorare con gente che non ha idea di cosa diciamo, e di cui non capiamo la lingua. Ma la musica riempie i vuoti, e anzi meglio delle parole ci aiuta a esprimerci e trasmettere ciò che abbiamo dentro. La musica è un linguaggio internazionale. E questo è fantastico”.

Sembra quasi che per i Delta Saxophone sia più importante (e più stimolante) creare e improvvisare con gente sconosciuta che esibirsi. Di fatto la loro performance è discreta e semplice, i quattro componenti si dispongono a semicerchio come se fossero in sala, o seduti al bar a raccontarsi le loro vite.
“Non suoniamo con l’obiettivo di scrivere dei pezzi. Suoniamo e basta, e ciò che ne scaturisce è ciò che sentiamo in quel momento, che per noi è importante”. 

“Siamo tornati a Catania perché ci hanno proposto di ripetere l’esperienza di due anni fa, e la cosa ci ha entusiasmato. Infatti ritorneremo a maggio per un altro progetto, e chissà fra due anni per un altro workshop”, aggiunge Pete, con l’aria serena di chi sta facendo la cosa giusta.

Finché sulla scena irrompe l’atteso special guest della serata, Hugh Hopper, bassista e compositore innovativo, componente di uno dei gruppi più psichedelici e originali degli anni 70, i Soft Machine. Ed è proprio in omaggio ai Soft Machine che il quartetto si esibisce e decide di chiedere la collaborazione di uno di loro, Hopper appunto. “La musica dei Soft Machine ci ha sempre affascinato, e così è stato spontaneo volerle dedicare un tributo con l’aiuto di un grande musicista quale Hugh Hopper. Lui ha subito accettato. Suonare con lui è davvero stimolante, non potevamo chiedere di più”.

E così la musica dei Delta Saxophone Quartet, che “non è musica classica, né musica jazz: è solo musica”, diventa psichedelia pura, con i fiati che seguono il basso di Hopper in un’altalena di alti e bassi, con un tappeto sonoro del trombone da un lato che suona continuamente, e il sax soprano dall’altro che gli sta dietro spezzato, gridato e sussurrato.
Un salto negli anni passati, quando la musica suonava ancora. Un salto con stile.

Valentina Miraglia

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