Delta Saxophone Quartet live @ Zo

Li avevamo visti due anni fa al Teatro Sangiorgi di Catania, anche in quell’occasione impegnati in un workshop con gli studenti catanesi. Li ritroviamo quest’anno al centro culturale Zo, all’interno della rassegna “Etnafest”. Stiamo parlando dei Delta Saxophone Quartet, un quartetto di fiati il cui alito spira sulla scena musicale mondiale.

Guidati dai Saxophone, la prima esibizione tocca ai giovani strumentisti catanesi, alcuni provenienti dal conservatorio, altri semplicemente attratti dal progetto di workshop musicale. La collaborazione dei Delta con gli studenti, anche quest’anno riuscitissima, è ormai una prerogativa del gruppo che da tempo porta avanti un progetto di “musica partecipativa” in cui l’improvvisazione e la creatività hanno come risultato un cocktail di estrosità musicale.

Un set di percussioni, due bassi, uno xilofono e soprattutto strumenti a fiato: un’orchestra di giovani musicisti guidata dal quartet la cui performance non è affatto male. 

È la volta del grande quartetto che da solo cattura l’attenzione di un pubblico davvero numeroso. Quattro strumenti, tutti fiati: un sax soprano, uno alto, un tenore e un baritono, eppure non sembra mancar niente ai loro suoni. Ci regalano lunghi pezzi, fra jazz e psichedelico, fra il classico e  il rock melodico, azzarderei.

Uno di loro presenta al pubblico il secondo brano: “Floating words”. Qui gli strumenti sembrano rincorrersi in un’elegante danza di suoni. Sembra quasi di poter vedere figure di note danzanti: un sax-donna rincorso da tre corteggiatori impertinenti: le altre tre trombe. Ritmi veloci e incalzanti si trasformano poi in tocchi leggeri, timbri carezzevoli, dolci note.

È la volta di un pezzo “Quite German”, così  ce lo presentano, annunciando al pubblico che è ora “to wake up”. E ci svegliano e come, fra suoni che ricordano schiocchi di dita e colpi di tip tap . Sconvolgente, incredibilmente unico.

Un pezzo che annuncia un gusto dichiaratamente ispirato a un gruppo degli anni ’70, i Soft Machine, è il preludio all’ingresso, applauditissimo, del grande Hugh Hopper, l’eccezionale special guest, basso dei Soft Machine. Solo un paio di pezzi col bassista, e questa è l’unica delusione: ci salutano troppo presto, ma con la sensazione di aver assistito ad un concerto davvero straordinario.

Stefania Placenti

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