Riela Group, ex dipendenti vogliono risposte «Allo Stato chiediamo solo i nostri diritti»

Non vogliono uscire di scena in silenzio gli ex dipendenti della Riela Group, la società di trasporto merci confiscata alla famiglia mafiosa Riela nel 1999 e messa in liquidazione ad aprile. E soprattutto non accettano il silenzio dei loro interlocutori. Per questo ieri hanno indetto una conferenza stampa nei locali della loro ex azienda a Belpasso. Per dire che non hanno ricevuto riscontro sullo sviluppo del tavolo tecnico promesso dalla prefettura di Catania, dove sono stati ricevuti lo scorso tre dicembre. Per denunciare che sono passati tre mesi e mezzo dal licenziamento e non hanno ancora ricevuto le ultime due mensilità e il Tfr, il trattamento di fine rapporto. E soprattutto per rilanciare, chiedendo la revoca della messa in liquidazione da parte dell’agenzia del Demanio, visti i risultati della vicenda giudiziaria che ha coinvolto il consorzio Se.tra., usato dai fratelli Riela per svuotare il Gruppo.

Il debito di 6 milioni di euro che la Riela aveva verso il consorzio era la principale motivazione che ha portato alla chiusura dell’azienda. Una volta accertato il ruolo del consorzio, quel debito è decaduto e quindi gli ex dipendenti si chiedono perché non hanno più un posto di lavoro. «Chiediamo la restituzione delle commesse e un’unica gestione del gruppo Riela e il consorzio, ormai commissariato», dice Maurizio Marino, uno dei dieci dipendenti licenziati il 30 agosto scorso. «Ci avevano detto che l’esito della vicenda giudiziaria ci avrebbe toccato in modo positivo e invece non è successo nulla, anzi il commissario del consorzio ha dichiarato la sua completa indisponibilità a coinvolgerci», aggiunge. Adesso lui e i suoi colleghi vogliono sapere «quali sono effettivamente i motivi della chiusura del Gruppo Riela, visto che – sottolinea Marino – non c’è più il debito, quindi non ci sono problemi di bilancio, e dato che l’azienda aveva ancora delle commesse e che è stato anche riconosciuto che molte le erano state tolte dal consorzio».

Le loro domande, però, non ricevono risposte. «Quando si decidono a rispondere al telefono all’Agenzia nazionale dei beni confiscati, ci dicono che quello che hanno potuto fare lo hanno fatto. Per gli stipendi e il Tfr tirano in ballo i tempi burocratici», afferma Marino. La settimana scorsa lui e gli altri lavoratori sono tornati in prefettura per chiedere aggiornamenti sul tavolo tecnico, ma non hanno ancora saputo nulla.

«Per il licenziamento e soprattutto per le mensilità e il tfr ancora non corrisposti – racconta l’ex dipendente Riela – abbiamo dovuto rivolgerci a un legale per tutelare i nostri diritti. Quindi oltre al danno la beffa, perché vuol dire dover affrontare delle spese». Ma anche il legale non ha ricevuto risposta. «Eppure – dice Marino – il Tfr spetta per legge e la risposta dobbiamo averla dallo Stato, dato che il datore di lavoro di un’azienda confiscata è l’Agenzia nazionale». E denuncia la difficoltà che trovano quando cercano di interloquire con l’Agenzia. «È difficilissimo e quelle rare volte che ci siamo riusciti – racconta – si sono anche lamentati che gli facciamo perdere tempo. Ma non chiediamo niente di speciale, solo di avere riconosciuti i nostri diritti».

Gli ex lavoratori Riela non accettano la chiusura della loro azienda, né di vedere i loro camion con i motori spenti, parcheggiati a marcire. «Ma, se proprio la Riela deve chiudere, almeno pensino a ricollocarci visto che siamo anche in pochi», dice Marino. Lui e i suoi colleghi non possono accettare che lo Stato che li ha assunti tutti dopo la confisca – molti erano dipendenti Cesame o Marketing Sud in mobilità – adesso li lasci «in mezzo alla strada». «Che messaggio passa? – chiede Marino – Quello che la legalità non paga e che lo Stato perde».

Eppure ammette che non sarebbe facile per la loro azienda sopravvivere. Nel settore trasporti il rischio criminalità è, infatti, molto alto. «Muoversi in questo settore nella legalità – dice – non è facile perché la legalità ha un costo ed è difficile essere competitivi quando ci sono aziende – come facciano non lo so – che fanno prezzi assurdi».  Le commesse della Riela le «strappavano con i denti», rivela. Anche la crisi poi fa la sua parte e molte aziende negli ultimi mesi hanno chiuso perché non riescono ad essere competitive. «Ma – aggiunge Marino – noi avevamo clienti che ci sceglievano proprio per il nostro essere un’azienda confiscata alla mafia, perché eravamo un simbolo di legalità. Era un motivo di orgoglio». Per lui, quindi, «l’Agenzia ha chiuso la vicenda in maniera troppo frettolosa, soprattutto alla luce del fatto che il debito non c’è più – dichiara – Si poteva continuare a lavorare e poi vedere se saremmo effettivamente falliti o meno».

[Foto di Salvatore Torregrossa]

 

Agata Pasqualino

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