La situazione delle partecipate a Palermo è incandescente e la Reset non fa eccezione. Ieri è partita la vertenza dei lavoratori per il ripristino degli scatti di anzianità. Il sindacato Ursas-Sadirs ha comunicato di avere avviato l’iter legale per il riconoscimento delle somme, in tutto circa 250 euro a lavoratore. Gli scatti di anzianità erano stati sospesi in sede di accordo di trasferimento del dicembre 2014 dopo il passaggio dalla Gesip. Il sindacato Ursas-Sadirs ha recesso quindi l’accordo del 2014 e ha messo a disposizione dei lavoratori i propri uffici per il mandato a procedere.
«La sospensione risale a quando la gesip fu messa in liquidazione e i lavoratori collocati in cassa integrazione in deroga – spiega Pietro La Torre, segretario generale Ursas-Sadirs a Meridionews – Dopo un periodo trascorso in questa condizione si fece n accordo con il Comune per un riassorbimento dei lavoratori in Reset. Per fare questa operazione era necessario abbassare il costo del lavoro per un bacino di 1600 lavoratori, accordo che è stato raggiunto in deroga al contratto nazionale». In contemporanea a fronte di questo accordo, ripercorre La Torre, il Comune assumeva un impegno a versare oltre al finanziamento iniziale, e per i tre anni successivi, «strutturalmente tre milioni di euro ogni anno», afferma ancora il sindacalista.
Come tutti gli accordi in deroga, spiega ancora il sindacalista, non era destinato a durare per sempre. «Avevamo provato a fissare il 31 dicembre 2107 come data di cessazione di questa deroga, che declassava i lavoratori e sospendeva gli scatti di anzianità. In questo caso il sindaco ha detto che non poteva indicare quella data ma che si impegnava a fare tutto il possibile per riportare i lavoratori a 40 ore di lavoro settimanali e ai livelli corretti di inquadramento, che al momento non ci sono». Sono passati diversi anni da allora e il sindacato ha visto cambiare sì lentamente qualcosa in meglio nelle condizioni dei lavoratori, che sono arrivati al momento al riconoscimento di 32 ore lavorative, ma afferma il segretario generale: «Nella previsione del piano triennale i soldi stanziati per Reset sono uguali a quelli dell’anno scorso se non meno». Da lì è scattata l’esigenza di far sentire la propria voce.
Recentemente è stata diffusa la notizia del trasferimento di circa novanta lavoratori da Reset verso Rap: «Sono contento per questi novanta dipendenti – aggiunge La Torre – ma il problema non cambia per i lavoratori che rimangono. È come buttare un secchio d’acqua quando servirebbe l’autopompa». Negli anni circa 300 lavoratori sono andati via l’altra leva tra l’esodo incentivato di alcuni lavoratori prossimi alla pensione, grazie alla creazione di un fondo e una piccola ricollocazione dei dipendenti nella misura di circa 15 su Amat, come autisti e una cinquantina su Rap. Inoltre Reset è una società cosortile, cosa che ha permesso di risparmiare una buona parte dell’Iva, essendo un’azienda in house del Comune. «La Reset è diventata l’azienda tappabuchi, pronta a intervenire per tutte le esigenze del Comune. Anche se negli anni siamo arrivati a 32 ore siamo ancora senza classificazione, il trattamento economico è uguale per tutti. Da un anno cerchiamo di parlare con il Comune per trovare un accordo per tornare alla normalità. A febbraio dell’anno scorso ci hanno detto che era tutto sistemato ma dopo non li abbiamo più sentiti. Siamo arrivati alla disdetta di un accordo non a cuor leggero».
La disdetta comporta che i circa duecento iscritti alla sigla non sono più vincolati al rispetto alle previsioni del blocco, più volte ritenuto valido dal tribunale di Palermo. «Chiederemo l’immediata sospensione degli effetti e se non ci sarà il ripristino delle condizioni di lavoro nei tempi previsti partirà il contenzioso. A meno che qualcuno ci convochi e si sieda a un tavolo di trattativa con il sindacato». Poi si rivolge alle altre sigle sindacali che hanno a suo tempo firmato l’accordo: «La disdetta è una strada obbligata se si vuole riportare queste persone a un tavolo».
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