Si abbassano la «tensione antimafia nell’opinione pubblica» e «l’incidenza delle associazioni antirachet» e Cosa nostra ne approfitta per evolversi. Questa la conclusione a cui è arrivata la commissione parlamentare Antimafia dell’Assemblea regionale siciliana, che ha voluto fare un lavoro di indagine sullo stato di salute della mafia in Sicilia, scandagliando il territorio e ascoltando 302 amministratori locali del 392 Comuni dell’Isola, oltre che esponenti della magistratura e delle forze dell’ordine impegnate nel contrasto alla criminalità organizzata.
Ne è uscito fuori un quadro che presenta «una mafia meno pressante ma capillare, all’insegna del “pagare meno, pagare tutti”» come si legge dalla relazione finale. Una mafia che punta ancora forte sul pizzo, sulle estorsioni, aiutata dal fatto che le associazioni antiracket non riescano spesso a coprire tutto il territorio siciliano. Il caso più eclatante è quello della provincia di Agrigento, che non annovera nessuna associazione iscritta all’albo prefettizio. «il racket si è trasformato nel pagamento generalizzato di piccole somme che, a fronte di minori entrate, hanno garantito una certa acquiescenza da parte degli operatori economici tradottasi in una collaborazione quasi spontanea degli estorti. Nuove forme di raccolta del pizzo anche attraverso le forniture e i servizi, con gli stessi estortori che emettono fattura per le loro attività nei confronti degli estorti».
Una mafia che anche dove sono ancora in piedi i mandamenti storici, non si fa la guerra, ma preferisce la collaborazione tra le diverse anime che la compongono pur di ottenere profitto, come nel caso del traffico degli stupefacenti, con le piazze di spaccio tacitamente spartite tra clan. Una visione più imprenditoriale, che porta a delegare sul territorio e nel frattempo a infiltrarsi in settori dell’economia come quello energetico, quello dei rifiuti al turismo.
E poi c’è la questione dei beni confiscati, che a oggi rimane un problema: da una parte ci sono le aziende sottratte alla criminalità, che per il 90 per cento finiscono per essere messe in liquidazione, dall’altra i tanti immobili che vengono sistematicamente occupati in maniera abusiva, immobili che comunque spesso si presentano in condizioni non ottimali e non beneficiano di un sistema di riutilizzo che riesca a impegnarli nel modo migliore.
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