“Nuestros derechos vs. vuestros privilegios”: in tutte le calles di Cadice campeggia l’immagine in bianco e nero di un pugile, su cui spiccano in rosso fuoco le parole “diritti” e “privilegi”. In altri muri si vedono i manifesti con la foto della nazionale spagnola: “loro non dovranno pensare al proprio futuro”, mentre accanto al muratore si legge un eloquente “Tú sí”. Sono queste contrapposizioni, probabilmente, a trasmettere il senso più profondo del primo sciopero generale dell’era Zapatero, che ha portato i lavoratori spagnoli in tutte le piazze a protestare.
La huelga general nella città più antica d’Europa è iniziata alle prime luci dell’alba del 29 settembre, un mercoledì in cui s’è deciso che tutte le attività commerciali devono rimanere chiuse e tutti i lavoratori, specialmente i dipendenti, devono partecipare alle manifestazioni organizzate dai sindacati e anche da partiti di estrema sinistra. Che al governo ci sia una delle poche coalizioni di sinistra superstiti in Europa è un dettaglio: agli spagnoli non è andata giù l’ultima riforma, che riduce gli stipendi ai funzionari pubblici, blocca le pensioni e alza l’età pensionabile. Non solo: la disoccupazione continua a crescere e si dice che aumenterà ancora, favorita dai provvedimenti che rendono il licenziamento più facile, e i privilegi delle banche, protagoniste negative della crisi di quest’anno, non sono ancora stati toccati.
A Barcellona e Madrid si è arrivati allo scontro fisico e alla violenza, ma è stata tutta un’altra storia a Cadice. Qui si dice che il 30% dei cittadini sia disoccupato e non si sia trovata una soluzione per risollevare l’economia dopo la chiusura delle industrie navali alla fine della dittatura di Franco. La crisi odierna ha fatto il resto. La partecipazione allo sciopero è stata buona, ma mentre le industrie della provincia si sono fermate, molti altri hanno deciso di aderire. A cominciare dagli impiegati pubblici: quasi il 90% dei lavoratori ha evitato i picchetti e le porte chiuse con il silicone e si è presentato in orario. E poi anche i medici e molti insegnanti della scuola. Le università sono andate quasi deserte, anche se ufficialmente tra il 20 e il 40% degli studenti s’è presentato a lezione; ma le biblioteche e le caffetterie sono rimaste chiuse.
«C’è molta gente – spiega un’insegnante durante la marcia che parte dal palazzo della provincia, in plaza de España, a cui partecipa un buon numero di persone, tutte con bandierine rosse del sindacato e qualche gonfalone bianco-verde della regione –, chi non è venuto non si è informato abbastanza. La riforma colpisce tutti i lavoratori e soprattutto rende meno sicuro il nostro futuro. Le pensioni sono messe in discussione da anni, ora molta gente rischia di dover lavorare fino a oltre settant’anni per raggiungere i contributi necessari per averne diritto… E poi, in una città come la nostra, chi è fortunato trova lavoro intorno ai trent’anni, ma chi rimane disoccupato più a lungo come deve fare?»
Alcune attività commerciali, tuttavia, sembrano non condividere questo punto di vista. Lo stesso quotidiano locale che ha dato le cifre ufficiali della partecipazione, ha pubblicato un’interessante analisi di come i picchetti hanno spinto (in alcuni casi con minacce) molti commercianti a non aprire le proprie attività e, per contro, di come questi ultimi hanno aggirato il pericolo aprendo quando i picchetti se ne andavano. «Questo sciopero è inutile – spiega una cameriera andata regolarmente a lavorare –. La riforma sul lavoro è già stata approvata, perdono solo tempo. Se ci vado perdo 90€, chi me lo fa fare?»
Come il suo locale, ce ne sono alcuni che aprono di sera, soprattutto quelli dedicati agli studenti Erasmus. Le luci sulla huelga sono calate, l’economia locale riprende a marciare, mentre i lettori votano fracaso (fallimento) nei sondaggi sui siti locali ed escono le cifre sulla partecipazione, che variano dall’85 al 20%. E rimane il dubbio che il blocco generale delle attività sia servito più agli studenti per non andare a scuola che ad ottenere dei risultati. Comunque, il governo ha aperto al dialogo e aumenta così la speranza dei lavoratori di uscire dalla crisi senza subire altre restrizioni ai propri diritti.
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