Quando nel Catania c’era Orazio Russo È presto per credere che la squadra sia sana

Devo essermi assopito ieri pomeriggio, allo stadio, sotto un sole che sapeva ancora d’estate e davanti a una partita che non sapeva di nulla. Devo essermi assopito, durante il primo tempo, e devo anche aver sognato. Ho sognato sicuramente, anzi. Perché mi sembrava che, mentre in campo i giocatori ansimavano dal caldo, stesse cominciando a piovere. E che, sotto quella pioggia prima leggera, poi sempre più fitta, il Catania inseguisse il risultato con una rabbia, una forza, un coraggio che non vedevo da tempo.

Devo aver dormito profondamente. Poiché la partita tra Catania e Vicenza che rivedevo con la mente, al posto di quella insipida che mi si svolgeva davanti, era davvero una partita di altri tempi. Il Catania stava perdendo per due a zero. A un certo punto però, dalla panchina, l’allenatore fece alzare un giocatore. Non era particolarmente giovane, né famoso, ma era amatissimo dal pubblico. Si chiamava Orazio Russo. Era un catanese, un tifoso del Catania. Da bambino aveva sognato di essere uno dei quarantamila che sedevano in tribuna – io c’ero, quel giorno – agli spareggi dell’Olimpico, nel giugno dell’ottantatré. E in quel momento, durante la partita del mio sogno, stava vivendo uno degli ultimi anni della sua carriera da giocatore. E lo stava vivendo da giocatore del Catania.

Poco dopo il suo ingresso in campo, Orazio corse sulla destra verso il fondo. Quindi dal suo piede partì un cross diretto al centro dell’area di rigore. E lì un difensore del Vicenza fece una cosa che nessun difensore nella realtà avrebbe mai potuto fare. Calciò la palla di tacco, con un gesto degno di Maradona, che annichilì il suo portiere, realizzando un autogol capolavoro. Un autogol da sogno, il più bell’autogol della sua vita. Il Catania a quel punto perdeva ancora. Ma, adesso, soltanto per due a uno.

Pioveva a dirotto, ormai. E il tempo continuava a scorrere. Quando l’ultimo granello di sabbia stava per scivolare in fondo alla clessidra, la palla capitò ancora dalle parti di Orazio. Poco fuori dall’area di rigore vicentina, un po’ decentrato sulla destra, questi la controllò con la coscia destra, poi la lasciò ricadere sul sinistro. E con esso, prima che cadesse a terra, la calciò con tutta la forza dei suoi muscoli, con tutta la precisione della sua mira, con tutto l’amore che aveva in corpo per la maglia del Catania. E la mandò a conficcarsi proprio alla confluenza di palo e traversa, all’angolo opposto della porta, con un tiro che nessun portiere avrebbe potuto parare. Il granello di sabbia rimase ancora un attimo sospeso, giusto il tempo necessario per permetterci di ammirare quel gol da sogno. Poi ricadde sul fondo della clessidra, e l’arbitro fischiò la fine su un insperato risultato di parità.

Devo essermi svegliato proprio in quel momento. E la partita che ho visto non assomigliava certo a quella che avevo appena contemplato con gli occhi della nostalgia. Continuava a non essere una bella partita, non dico inguardabile come nel primo tempo, certo, ma nemmeno indimenticabile. Ma almeno il Catania era riuscito a sbloccarla. Ci aveva pensato, un po’ inaspettatamente, Edgar Çani, favorito da una rovesciata approssimativa di Calaiò che lo aveva liberato davanti alla porta vuota. Poi aveva messo il risultato al sicuro lo stesso Calaiò, trasformando un calcio di rigore per i rossazzurri, il secondo della giornata (il primo lo aveva sbagliato Rosina). A chiudere il conto sarebbe poi stato Martinho, prima che il Vicenza segnasse, quasi allo scadere, il suo unico gol. Ma certo la vittoria non sarebbe stata così semplice se, in occasione del primo rigore, il Vicenza non fosse rimasto in dieci per l’espulsione di uno dei suoi difensori.

Il Catania di oggi è molto lontano da quello dei miei, dei nostri sogni. Sannino dice che la vittoria di ieri è stata un’aspirina: un risultato che ci aiuterà a tenere a bada il nostro malessere, a passare la domenica, una volta tanto, senza sentirci tutte le ossa rotte. Ma è ancora presto per poter credere che la nostra sia una squadra di sana e robusta costituzione, una squadra in salute e capace di affrontare le intemperie del campionato.

Accontentiamoci della convalescenza, dunque. Sperando in qualche conferma dalla prossima partita in casa, martedì sera contro l’Entella.

Per riprendere a sognare, però, un’aspirina serve a poco. Possiamo solo sperare che Babbo Natale ci faccia qualche bel regalo, quando si riaprirà il calciomercato.

Basta che noi, a mangiare il panettone, ci arriviamo in un accettabile stato di salute.

Claudio Spagnolo

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