Progetto Neet, i tirocini pagati dallo Stato «Nessuna prospettiva e pochi controlli»

«Cosa c’entra la mia laurea con un posto da saldatore o da commessa? Perché, dopo tanti anni di studi e sacrifici, la mia laurea è valida solo per fare cose che nulla hanno a che fare col mio corso di studi?». Così il deputato e coordinatore siciliano di Sel Erasmo Palazzotto, 30 anni, commenta con una nota sul suo sito personale il progetto Neet che tanto ha animato i giovani del Sud Italia nelle ultime settimane. Tremila tirocini della durata di sei mesi con un rimborso spese da 500 euro lordi mensili pagato dallo Stato. Un incentivo all’inserimento nel mondo del lavoro, secondo il Governo; uno specchietto per le allodole per Palazzotto; «una condizione affatto entusiasmante che pure, in questa crisi, lo diventa», dice Barbara, una delle migliaia di aspiranti.

La questione comincia a inizio settembre. Quando Italia Lavoro – società per azioni totalmente partecipata dal ministero dell’Economia e delle Finanze – bandisce il progetto Neet. Tremila tirocini di sei mesi – da 38 ore settimanali, poco meno di una normale giornata lavorativa da otto ore al giorno esclusi sabato e domenica – finanziati con una borsa di 500 euro al mese, a favore di giovani laureati tra i 24 e i 35 anni che al momento non studiano né lavorano, purché residenti in Campania, Puglia, Sicilia e Calabria. Circa 200 dei tirocini totali possono essere svolti anche in altre regioni, con un rimborso spese che sale fino a 1300 euro mensili. Da intendersi, in entrambi i casi, come cifre lorde.

L’iscrizione – da parte dell’azienda e dell’aspirante tirocinante – funziona come su uno dei tanti siti online di ricerca di offerte di lavoro. L’azienda si iscrive al portale e lancia la propria offerta a inizio settembre; i giovani interessati avanzano la propria candidatura a partire da fine mese e la società sceglie il nominativo che preferisce. Al ministero, alla fine, toccherà decidere quali tirocini saranno attivati – tra quelli proposti che eccedono i tremila previsti – con una scrematura che non è chiara nemmeno agli stessi partecipanti. Così come non semplice è stato per i più inoltrare la propria candidatura. Il sito Cliclavoro, costato quasi due milioni di euro – senza contare gli stipendi di chi lo gestisce – fin dal primo giorno non ha retto agli accessi. Restituendo ai candidati, quasi alla fine della procedura di registrazione, un messaggio di errore. «Vergogna» ed «esasperazione» sono state le espressioni più usate – e tra le più gentili – sulla pagina Facebook del portale.

E proprio da qui parte una delle prime critiche all’operazione. «Il sito ha pubblicato tre righe dicendo che c’era tempo per tutti e che non bisognava affrettarsi – racconta Barbara – In quanto la tempestività delle domande non avrebbe condizionato l’assegnazione del tirocinio. Ma dalle aziende ci hanno poi fatto sapere che non era così». «E come spieghiamo, come ha fatto notare la Cgil siciliana, che, ancor prima che la stragrande maggioranza dei candidati riuscisse a registrarsi, già 1600 aziende – di cui 750 in Sicilia – dichiaravano di aver scelto i propri tirocinanti?», rincara la dose Erasmo Palazzotto. A cui non va giù proprio il sistema di selezione alla base. Lasciato in mano ai privati, nonostante a pagare i ragazzi sarà il governo con un investimento di dieci milioni di euro. «Che accadrebbe se un privato partecipasse al fine di porre a carico dello Stato per qualche mese un dipendente che attualmente lavora in nero? – continua il deputato – Non c’è nessuna garanzia che ciò non accada e nessun occhio pubblico a vigilare». Così come alcuna garanzia di continuità lavorativa viene data ai partecipanti che rischiano di diventare «manodopera gratuita, per qualche mese a carico dei contribuenti».

«Su Catania è certo che non ci sono grandi prospettive di assunzioni dopo i sei mesi – racconta Barbara – Ho visto tante inserzioni di studi legali, ma sopratutto cooperative, associazioni no profit ed enti di europrogettazione». Dove, di solito, si lavora gratis. Per questo motivo Barbara, una laurea in Lettere in tasca, ha provato anche a guardare fuori, a Milano e a Siena, dove però va affittata una casa e fatta la spesa ogni settimana. «Le offerte sono poco entusiasmanti, per non dire di quanto sia poco entusiasmante essere pagati 500 euro al mese – continua – Eppure per migliaia di ragazzi lo è. Ti dimentichi di quanto sangue hai buttato sui libri e sei pure felicissimo di questi soldini». Un modo per tamponare, in attesa di qualcosa che sia, se non definitivo, dignitoso. «Non mi vergogno a dire che ho partecipato al bando solo per i 500 euro al mese – conclude Barbara – Non ho studiato per fare l’assistente sociale o il mediatore culturale in un ente no profit. Eppure sto pensando di cambiare strada e buttarmi sulla ristorazione. Peccato che in questo settore non ci fossero offerte di tirocini a Catania». Scherza, ma non troppo.

Claudia Campese

Giornalista Professionista dal 2011.

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