«La procura formula le seguenti richieste: nei confronti di Silvana Saguto la condanna per tutti i reati a lei ascritti, ad eccezione dei capi 72 e 73 perché il fatto non sussiste, di 15 anni e dieci mesi di reclusione, con l’interdizione perpetua dai pubblici uffici e l’incapacità a contrarre incarichi con la pubblica amministrazione per 5 anni». Questa la richiesta del procuratore ai giudici di Caltanissetta, alla fine della requisitoria dei pubblici ministeri. Alla richiesta di pena per l’ex presidente delle Misure di prevenzione del tribunale di Palermo è seguita quella per tutti gli altri imputati coinvolti nel processo sul presunto cerchio magico della gestione dei beni confiscati. Per il marito dell’ex magistrata, l’ingegnere Lorenzo Caramma, chiesti 9 anni e 11 mesi, per Gaetano Cappellano Seminara 12 anni e tre mesi di reclusione, per Carmelo Provenzano chiesta la condanna a 11 anni e dieci mesi di reclusione, per Nicola Roberto Santangelo chiesti 10 anni e undici mesi di reclusione, per Walter Virga chiesta la pena finale di due anni di reclusione, sei mesi invece per il figlio dell’ex giudice, Emanuele Caramma, per Vittorio Pietro Caramma chiesta invece l’assoluzione perché il fatto non costituisce reato.
E ancora, per Roberto Di Maria la condanna a 4 anni e quattro mesi, per Maria Ingrao si chiede la condanna, per Calogera Manta 4 anni e sei mesi di reclusione, per Rosolino Nasca chiesta la condanna finale di 8 anni e un mese di reclusione, per Francesca Cannizzo chiesta la condanna a sei anni di reclusione, per Lorenzo Chiaramonte invece due anni e sei mesi; per Aulo Gabriele Gigante chiesta l’assoluzione per non aver commesso il fatto. Infine, si chiede la confisca di quanto posto in sequestro. «Chiediamo la trasmissione dei verbali di alcuni soggetti, per procedere per il reato di falsa testimonianza: Giuseppe Barone, Stefano Scammacca, Gianfranco Scimone, Roberto Licitra, Dario e Giuseppe Trapani, Alessandro Bonanno, Marta Alessandra, Laura Greca, Giuseppe rizzo, Vera Sciarrino,Alessio Cordola, Dario Maiuri e Daniela Carazzi – ha detto il pm Maurizio Bonaccorso, prima delle richieste di pena -. Siamo in presenza di fatti di una gravità inaudita, ci siamo orientati quindi a non chiedere attenuanti per nessuno». La requisitoria, cominciata il 14 gennaio scorso, si è articolata per ben dieci udienze, durante le quali i pm Bonaccorso e Pasciuti hanno attraversato, dandosi il cambio, ogni passaggio del cosiddetto cerchio magico attribuito all’ex presidente Saguto, che avrebbe piegato ai propri interessi personali, per l’accusa, la gestione dei beni confiscati. Intercettazioni, documenti, testimonianze emerse in fase dibattimentale, negli oltre due anni di processo, e testimonianze inquinate già in fase d’indagine.
«Emerge un quadro assolutamente desolante – ha detto il pm prima di avanzare la richiesta di condanne per gli imputati -. Ci sono pubblici ufficiali che hanno tradito la loro funzione, parliamo di amministratori, giudici, colonnelli e molto altri, per il perseguimento di interessi privati. Quella di Andrea Repoli è a mio avviso la vicenda più brutta, la più sporca che sia emersa da queste indagini. Non so come andrà a finire questo processo, magari Santangelo e Provenzano andranno assolti, ma per questa vicenda dovranno vergognarsi per tutta la vita». L’ultima parte della requisitoria dell’accusa è dedicata, oggi, alle figure dei due amministratori giudiziari accusati di aver fatto parte del cerchio magico imputato a Silvana Saguto: il loro ruolo fra aprile e maggio del 2015 pare fosse quello di coinvolgere nelle amministrazioni giudiziarie, con l’avallo dell’ex presidente della sezione che autorizzava le nomine, i propri parenti più stretti, spesso con presunti incarichi di facciata ma comunque retribuiti con liquidazioni di circa700mila euro a testa. Per fare loro posto, secondo la ricostruzione dei magistrati, i due avrebbero anche licenziato alcuni dipendenti. Tra cui, ad esempio, proprio Andrea Repoli, dipendente della Motoroil in servizio in un distributore di Caltanissetta trasferito dall’oggi al domani a Castellammare del Golfo.
Il 15 giugno 2015 il giovane riceve una lettera a firma di Santangelo con la quale gli viene comunicato infatti il trasferimento, per non meglio precisate «imprescindibili esigenze logistico amministrative» della società, all’impianto Motoroil di Castellammare del Golfo, a più di 250 km dal luogo di lavoro e dalla propria residenza. Quindi il ragazzo, che guadagna circa 800 euro al mese, avrebbe dovuto percorrere circa 500 km al giorno per il tragitto di andata e quello di ritorno. Se non si fosse presentato, recita ancora la lettera, l’assenza sarebbe stata ritenuta ingiustificata. Alla lettera che annuncia l’inspiegabile trasferimento, seguirà poi il licenziamento per giusta causa. Andrea Repoli viene fatto fuori, in sostanza. Come prima di lui era accaduto al fratello Francesco Repoli, gestore dell’impianto sebbene fosse sostanzialmente anche lui un dipendente della Motoroil, nei confronti del quale, per l’accusa, sarebbe stato intenzionalmente arrecato un danno ingiusto di rilevante entità «rappresentato dalla cessazione del rapporto di lavoro con la Motoroil, e procuravano un ingiusto vantaggio patrimoniale a Dario e Giuseppe Trapani, i quali venivano assunti presso l’impianto di Caltanissetta senza avere alcuna competenza nella distribuzione di carburante». Mentre della risoluzione del contratto d’appalto, autorizzata da Silvana Saguto in qualità di giudice delegato, non c’è traccia.
I due nuovi fratelli sarebbero stati inseriti al posto dei Repoli, per l’accusa, «per la volontà di Provenzano di compiacere l’amico che stima da tempo, il giudice Tona, decide di trovare una sistemazione a quei due fratelli. Soggetti che non sanno fare nulla in quel distributore e questo lo dicono gli stessi fratelli Trapani, che in una conversazione intercettata che è agli atti loro stessi dicono candidamente che “lo sanno che io e mio fratello qua non sappiamo fare un cazzo, loro questo lo sanno”. Una situazione – insiste il pm Bonaccorso – che è abbastanza diffusa questa dell’incompetenza, dell’inserimento di soggetti la cui presenza è giustificata con “abbiamo bisogno di persone di fiducia”, che non sanno dove mettere le mani. E non è solo il caso Trapani. Questa è una costante del fatto che le persone non vengono scelte in base alle loro competenze ma, e abbiamo avuto tantissime testimonianze e anche le intercettazioni, in base a chi fa la richiesta, se sono amici, se sono parenti. Questo è il sistema, collocare le persone in base a rapporti amicizia e rapporti clientelari». Una sponsorizzazione continua, praticamente, di chi doveva essere calato dall’alto in procedure e amministrazioni.
Nel caso di Carmelo Provenzano le contestazioni mosse dalla procura vanno anche oltre: lui ricopriva anche il ruolo di ricercatore all’università Kore di Enna, il «prezzo della corruzione» sarebbe stata anche la particolare attenzione nel percorso pre e post laurea di uno dei figli della presidente, Emanuele Caramma, tra gli imputati a processo, che trasferisce nell’ateneo dell’entroterra siculo il proprio piano di studi dietro suggerimento dell’uomo. «Mi serve soltanto che lui si mette a studiare, perché con me non studia mai», gli dice al telefono Saguto il14 maggio 2015. E così arriva il momento della tesi: anche a quella, dicono i magistrati, avrebbe pensato ilprofessore. «Hanno già stabilito il titolo conRoberto Di Maria– preside della facoltà di Giurisprudenza e coinvolto nelle indagini -. Qualcosa delle misure di prevenzione, dice che la scrive in quattro giorni Carmelo». Ma nella lista degli imputati ci sono anche Francesca Cannizzo, ex prefetta di Palermo, che sarebbe coinvolta insieme all’ex giudice nella sistemazione del nipote di un amico con un compenso netto non inferiore ai 2.500 euro mensili, e Rosolino Nasca, tenente colonnello della Guardia di finanza e in servizio alla Dia di Palermo, che nel 2015 avrebbe promesso a Silvana Saguto di fare in modo che il marito di lei, Lorenzo Caramma, altro imputato, venisse coinvolto in modo occulto come collaboratore nelle pratiche di sequestro, facendo leva sull’inconsapevole amministratore giudiziario di turno.
Ma c’è anche il padre dell’ex magistrata radiata al Csm e, presente oggi in aula, anche l’avvocato Gaetano Cappellano Seminara, a cui l’accusa contesta, rispetto ai coniugi Saguto-Caramma, un rapporto fatto di favori e corruzione. In virtù del quale Cappellano Seminara avrebbe conferito incarichi all’ingegnere Caramma, in cambio dei quali l’ex presidente Saguto avrebbe a sua volta conferito incarichi a lui come amministrare. Nello scambio interessato di favori ci sarebbe, per la procura, anche altri due personaggi coinvolti nella vicenda, sono Fabio Licata, parte del collegio giudicante all’epoca insieme a Silvana Saguto, e Tommaso Virga, ex membro del Csm, che hanno scelto il rito abbreviato. Il primo è stato assolto nel 2019 dall’accusa di abuso d’ufficio e rivelazione di segreto, ma condannato a due anni e quattro mesi per falso materiale. Assoluzione piena invece per Virga, che era accusato di aver aver sostenuto l’ex magistrata al Csm, ricambiando i presunti favori per il figlio Walter, giovane avvocato e amministratore giudiziario, che dall’ex presidente Saguto aveva avuto degli incarichi nell’amministrazione dei beni sequestrati. Un altro ex giudice delle Misure di prevenzione coinvolto nel caso e che ha scelto il rito ordinario è Lorenzo Chiaramonte, ex giudice della stessa sezione, insieme a Saguto e Licata.
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