Processo Lombardo, due pentiti accusano «Voti per l’Mpa comprati a 40 euro»

«L’ordine era quello di votare Mpa perché era un partito ben portato a Catania, in provincia e in tutta la Sicilia orientale». Così Maurizio Di Gati, ex reggente di Cosa Nostra nella provincia di Agrigento, racconta il presunto appoggio politico dato dalla mafia al partito del presidente della regione Raffaele Lombardo. Accuse di cui il governatore e il fratello Angelo, deputato nazionale Mpa, devono rispondere nel processo a loro carico per voto di scambio. Di Gati, nel frattempo diventato collaboratore di giustizia, ha parlato durante l’udienza di oggi insieme al pentito Francesco Ercole Jacone, ex esponente della famiglia mafiosa di Caltanissetta. Si è avvalso invece della facoltà di non rispondere il gelese Maurizio La Rosa. «Non può collaborare perché è estraneo a qualunque consorteria mafiosa – spiega il suo legale, Dino Milazzo – che avrebbe quindi da raccontare?». Quello che invece i pm avrebbero voluto chiedergli è se anche a Gela, come ad Agrigento e Caltanissetta – secondo i racconti dei collaboranti – fosse arrivato l’ordine di appoggiare il partito di Lombardo e che cosa le cosche ne avrebbero avuto in cambio. Un passaggio decisivo che riguarda anche l’accusa originaria di concorso esterno in associazione mafiosa ai fratelli Lombardo. Imputazione poi derubricata in reato elettorale e di cui nel frattempo si discute l’archiviazione.

Entrambi i collaboranti non parlano mai di Lombardo direttamente. Ma sostengono di essere stati contattati da altri esponenti mafiosi per appoggiare questo o quel candidato dell’Mpa in diverse consultazioni elettorali, politiche e locali. Ad Agrigento, racconta Di Gati, si doveva sostenere Calogero Lo Giudice: passato dall’Udc all’Mpa dopo il 2001, quando è stato coinvolto insieme con il padre nel procedimento nato dall’operazione Alta mafia, da cui poi è stato assolto. La presenza di Lo Giudice però era solo uno dei buoni motivi per appoggiare lo schieramento che faceva riferimento a Lombardo: «Era un buon partito perché era abbastanza nuovo – spiega Di Gati – E, ci dicevano, ben portato da tutti noi uomini d’onore. Sapevamo che, se avessimo avuto bisogno, ci saremmo potuti rivolgere a loro». Per favori personali o appalti pubblici. Come in passato, a Catania, quello per la residenza universitaria Tavolieri – oggetto di un apposito procedimento – e per l’aeroporto. Ma Di Gati non ha fatto in tempo a chiedere che il favore gli venisse restituito. Nel 2006 – dopo quasi otto anni di latitanza – una letterina della figlia lo spinge a costituirsi ai carabinieri. «Ha sognato che tutti i carabinieri morivano e io potevo tornare a casa», racconta.

Ascolta l’audizione di Maurizio Di Gati, ex reggente di Cosa Nostra nella provincia di Agrigento

Il sistema spiegato da Di Gati è semplice: «Noi li votavamo e loro ci davano gli appalti». Per trovare i voti ogni mezzo era concesso. Dalle intimidazioni al pagamento. «Alle famiglie bisognose si davano 40 euro a voto – racconta l’ex boss – Poi loro mi mandavano dal seggio una foto con il telefonino come prova». Meno esperto invece Francesco Jacone che per la famiglia di Caltanissetta racconta di essersi occupato di estorsioni, furti e incendi ma mai di politica. Fino a quando non è stato contattato da Maurizio La Rosa. Sarebbe stato lui a chiedergli di appoggiare Enzo Cirignotta. Un nome fatto da Raffaele Lombardo, dice il collaborante, nonostante Cirignotta non fosse un uomo del suo partito. A raccontarlo a La Rosa, spiega Jacona, è stato Salvatore Seminara. Ma a fare da tramite con l’attuale governatore sarebbe stato Francesco La Rocca, esponente mafioso di Caltagirone ben ammanicato a Catania. «La Rosa mi diceva che La Rocca teneva Lombardo in mano sua», racconta. «In cambio, se c’erano infrastrutture da realizzare a Caltagirone, saremmo stati i primi a beneficiare di questi lavori», conclude. «Abbiamo sentito una testimonianza che raccontava fatti de relato, attraverso un altro de relato», commenta Guido Ziccone, legale di Raffaele Lombardo, secondo cui le testimonianze di oggi sarebbero favorevoli alla difesa.

Ma nelle audizioni di oggi si è parlato anche e diffusamente di appalti pubblici. Il vero chiodo fisso della criminalità. Un business per cui la mafia ha ormai organizzato un collaudato sistema di controllo. La cosiddetta messa a posto delle imprese: non solo il pizzo – richiesto dalla famiglia della zona in cui vengono effettuati i lavori – ma anche l’imposizione di ditte a cui rivolgersi per i materiali. Una filiera criminale spiegata oggi in aula da Di Gati, con la semplicità di una pratica ormai diffusa.

Ascolta il racconto di Di Gati sulla messa a posto della aziende catanesi

Con il silenzio di Maurizio La Rosa, si chiudono le tre audizioni fissate per oggi. La prossima udienza, inizialmente prevista per il 16 marzo, è stata spostata al 3 aprile. Con la richiesta, da parte del pm Carmelo Zuccaro, della sospensione dei termini di prescrizione.

[Foto di Luca Zappa]

Claudia Campese

Giornalista Professionista dal 2011.

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