Principe Umberto, occupato per tre giorni per freddo Studenti: «Lezioni senza termosifoni, scuola a pezzi»

Cancello chiuso con una catena di motorino, uscite di sicurezza sbarrate con le sedie, professori in attesa in strada e gli agenti della Digos che, ai ragazzi all’ingresso, urlano: «Quando torniamo più tardi vedete di non farvi trovare». È l’ultima mattina di occupazione al liceo scientifico Principe Umberto di Catania, a Cibali. Gli studenti si sono barricati dentro la sera dell’11 gennaio, approfittando dell’apertura straordinaria dell’istituto per una giornata di open day, e hanno riammesso i docenti soltanto intorno alle 10.30 di oggi. Dopo avere ottenuto il ripristino dei riscaldamenti nelle aule del liceo in cui – pare per un guasto – i termosifoni sono rimasti spenti per giorni. Proprio nel momento in cui il freddo ha messo in ginocchio l’intera provincia catanese e buona parte della Sicilia

«Il punto focale di questa occupazione era il riscaldamento. Abbiamo toccato con mano i radiatori: sono accesi, sia nella sede centrale sia nella succursale. Oggi sciogliamo l’assemblea permanente». A spiegarlo è Mattia Barrios, 19 anni, rappresentante degli studenti. Sale e scende dalle scale della scuola, seguito da un gruppo di altri ragazzi. È lui a parlare con la vicepreside, la professoressa Maria Caramagno. La preside, la professoressa Maria Raciti, è fuori Catania: in viaggio per partecipare, assieme ad altri docenti, a un progetto Erasmus che coinvolge le scuole superiori. «Non abbiamo avuto modo di confrontarci con la dirigente – continuano gli allievi – Non la vediamo da prima delle vacanze di Natale». Gli altri docenti, però, ci sono. E negli ultimi giorni hanno atteso di potere rientrare in classe, dopo il blitz con cui gli attivisti hanno occupato il liceo di via Chisari.

«Un gruppo di 14 di noi si è nascosto in una classe ha atteso che il personale della sicurezza chiudesse tutto e inserisse l’allarme», racconta Simone, 15 anni, un altro dei rappresentanti d’istituto. «Siamo usciti alle 22 di mercoledì sera, è scattato l’allarme, sono arrivati i vigilantes e la polizia. Sono entrati per verificare che non ci fossero problemi. Il clima era sereno, siamo rimasti dentro senza discussioni». La mattina dopo sono arrivati Digos e docenti, ma gli occupanti non sono voluti uscire. Così sono arrivati i tecnici «della caldaia e quelli per le finestre: non solo c’è freddo perché non ci sono i riscaldamenti, e alcune imposte sono senza i vetri. Nella mia classe in succursale – continua Simone – è così. Ma pure la centrale è in condizioni disagiate».

«Il nostro slogan è “Siamo gelosi dei nostri diritti“, un modo per dire che non ci va di continuare ad andare in classe in una scuola strutturalmente carente. Dopo che è crollato un pezzo di soffitto, nel 2015, alcune cose sono state aggiustate – interviene Flavia, 16 anni – Ma sono troppe le cose che non vanno e siamo arrabbiati». L’occupazione improvvisata – ma «partecipata, vissuta e sudata» – è stata un modo per attirare l’attenzione. «Non eravamo divisi in gruppi politici – prosegue Simone – Siamo stati uniti, un unico gruppo che ha lavorato insieme e si è organizzato per un servizio d’ordine efficiente». «Non volevamo fare danni – commenta Flavia – con una scuola in queste condizioni, sarebbe stata una cosa stupida infierire». 

A partecipare alla tre giorni di mobilitazione, secondo i dati degli occupanti, sono stati – a turno – almeno un migliaio di ragazzi. E nella mattinata di oggi erano in centinaia ad ascoltare i rappresentanti nel corso dell’assemblea. «In tutta la scuola siamo poco meno di 1700 – sostiene Simone – Più della metà ha aderito all’occupazione». Così, dopo il rompete le righe ordinato nella mattinata, è il momento delle pulizie. «Facciamo entrare gli uffici amministrativi e per altri disservizi faremo le segnalazioni a chi di competenza – conclude un gruppo di giovanissimi davanti alle scale antincendio – Non abbandoniamo le nostre istanze, ma prima di andarcene rimettiamo a posto tutto».  

Luisa Santangelo

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