«La Sicilia è l’isola che presenta il più alto potenziale di collegamento con la terraferma tra quelle che oggi non lo possiedono […] ci sono profonde motivazioni per realizzare un attraversamento stabile». Forse basterebbe quest’ultima frase per sintetizzare tutto in tema di collegamenti tra Sicilia e Calabria. A mettere nero su bianco questo passaggio è la relazione del gruppo di lavoro stabile, istituito al ministero delle Infrastrutture dal precedente esecutivo guidato dalla ministra Paola De Micheli, per «le valutazioni di soluzioni alternative per l’attraversamento dello Stretto di Messina». Il documento, lungo 158 pagine e redatto da 16 esperti, mette insieme pro e conto dei progetti. Un lavoro di nove mesi che però, conti alla mano, ricalca le considerazioni finali di un documento risalente al 1988. Era il governo di Ciriaco De Mita e al ministero dei Trasporti sedeva il friulano Giorgio Santuz.
Attualmente per raggiungere la Calabria si impiegano dai 40 ai 60 minuti, paragonabili «al tempo di viaggio che un’automobile impiega per percorrere quasi 100 chilometri. Peccato che il Continente sia distante dall’Isola, nel punto più vicino tra Villa San Giovanni e Messina, circa tre chilometri. Sul tavolo degli esperti incaricati dal ministero sono finite quattro ipotesi progettuali. Dalla più vecchia, ossia quella del ponte a campata unica, passando per quello a tre campate e ai tunnel subalveo e alveo. Tra i punti di forza del ponte a una campata c’è in parte la disponibilità del progetto definitivo. Costato molti soldi, appaltato dalla compagine pubblica Società Stretto di Messina, poi finita in liquidazione nel 2013, alla Eurolink. Di contro c’è che lo stesso progetto, a distanza di dieci anni, risulta già vecchio e da adeguare «alle nuove normative tecniche». Altra nota dolente sarebbe il fatto che il ponte a campata unica andrebbe realizzato nel punto di minore distanza tra Sicilia e Calabria «così allontanando l’attraversamento dai baricentri delle città di Messina e Reggio Calabria». Importante sarebbe anche l’impatto visivo, «anche in ragione all’altezza necessaria per le torri», e il particolare che quello a campata unica sullo Stretto sarebbe il ponte con una luce del 50 per cento superiore rispetto a quella del ponte più lungo realizzato al mondo».
Il sistema del ponte a più campate appare «fattibile». Rispetto a quello a campata unica potrebbe avere un’estensione maggiore, un minore impatto visivo e «degli effetti del vento», «costi presumibilmente inferiori e distanza maggiore dalle aree naturalistiche, come il lago di Ganzirri». Di contro però «andrebbero approfondite i temi relativi alle risposte delle pile in acqua rispetto ad eventi sismici e alle forti e variabili correnti marine. Un capitolo a parte riguarda le soluzioni con i tunnel, rispolverate nelle ultime settimane. Quello ad alveo, da realizzare a circa 60 metri di profondità e ancorato al fondale, sicuramente produrrebbe un minore impatto visivo e ambientale, almeno per quanto riguarda la terra ferma. Più problematica «l’assenza di riferimenti tecnici e di esperienza» e la questione sismica con la presenza di «faglie attive non sufficientemente note, che richiederebbero estese indagini geologiche». Il tunnel in alveo, rimanendo in tema di terremoti, «potrebbero essere soggetti a frane sottomarine e tsunami agli imbocchi delle gallerie». Nel 1988 la conclusione era identica e si evidenziava la «manca di esperienza costruttiva».
Il tunnel in subalveo, cioè scavato sotto il fondo del mare, passerebbe invece a una profondità di 180 metri. Per raggiungere una distanza simile occorrerebbero della gallerie di raccordo «molto lunghe»: 36 chilometri per quella ferroviaria e di circa 21 chilometri per quella stradale, quest’ultima «sarebbe la più lunga del mondo dopo quella di Laerdal in Norvegia». L’elenco dei problemi è molto lungo: «costi di realizzazione, smaltimento delle terre di scavo e impatti psicologici su conducenti e passeggeri». I tecnici si soffermano anche sui pericoli di eventuali terremoti «per l’attraversamento di aree altamente sismiche e con faglie attive». Con il governo De Mita di fatto si era arrivati alla stessa conclusione: «numerose faglie sui fondali dello Stretto e sul percorso degli accessi a terra».
La conclusione finale del gruppo di lavoro, che approderà in parlamento, è che la soluzione del ponte a più campate sia «potenzialmente più conveniente rispetto a quello a campata unica». I tunnel? Soluzioni poco convincenti «per l’elevato rischio sismico e per la mole di indagini necessarie per verificare la fattibilità tecnica». Il suggerimento per il momento è però bidirezionale ossia quello di fare camminare parallelamente l’ipotesi ponte prendendo in esame le alternative a campata unica e a più campate. Nel 1988 la «soluzione area» veniva indicata come degna di «approfondimento progettuale». Sul tavolo anche allora finirono l’ipotesi a campata unica e quella a due campate «poiché le opere sarebbero meno sensibili ai fenomeni sismici e con costi e tempi esecutivi ragionevoli e inferiori a ogni altra soluzione».
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