Pizzino, il figlio rinnegato di Cosa Nostra

Perché solo pochi privilegiati devono pagare? Da oggi, grazie al “Pizzo Day” – la prima giornata di democratizzazione del pizzo – tutti potranno autotassarsi, in modo da poter dire ai propri nipoti: ”Anch’io pagavo!”.

Questo è quello che succede, almeno, nel mondo rovesciato di Pizzino, il nuovo mensile di “satira, spamming con sarde e affucanotizie”. Sbrigando “un affare alla volta”, cioè affrontando ogni mese un argomento diverso, Pizzino ironizza in modo caustico e surreale sulla mafia e sui malcostumi italiani: dopo il numero sul pizzo, uscito a giugno, sono seguiti quelli sul ponte di Messina e sulla situazione delle nostre coste. Sottolineando l’assurdo che è già presente in ciò che accade nel nostro paese, ed in particolare in Sicilia. «Il paradosso – sostiene Gianpiero Caldarella, direttore responsabile di Pizzino – è più vicino alla realtà di quanto spesso non lo sia il resoconto fedele».

Il mensile è di cartoncino colorato che si apre a locandina, costa un euro ed è distribuito in quasi tutta la Sicilia. I suoi creatori sono tre giovani amici, il cosiddetto GFL: lo stesso Caldarella, Francesco Di Pasquale e Leonardo Vaccaro. Tra le rubriche, troviamo “La meglio palora”, breve rassegna di ciò che compare (o scompare) nella stampa nazionale; gli improbabili sondaggi di “Ogni testa è tribunale”; le vignette, tra cui una di Alan Ford, di “Cottura e società” e “Lecca la sarda”. C’è spazio anche per pseudoinserzionisti come l’ “Istituto di vigilanza SicurPizzo – soddisfatti o riscaldati” e “Sicilia 2015: tutto il resto è…mancia” dell’ Assessorato alle Politiche Inutili. Infine, a dimostrazione che Pizzino è una pubblicazione seria, troviamo anche lo “spazio soggetto a retorica” di “Si-culo centrico”, ovvero le riflessioni del GFL sul tema affrontato.

Come il “poliporco” sulla copertina del primo numero, Pizzino è una bestia rara: l’ultima esperienza significativa di satira antimafia in Sicilia risale ai tempi di “Radio Aut” di Peppino Impastato, cioè a circa trent’anni fa. Tanti, forse troppi. «La Sicilia è una terra dove raramente si sa ridere delle proprie sventure e dei propri limiti. […] La cultura mafiosa la si respira anche nel quotidiano, quando vedi che il cittadino non è portato per i diritti. Mafioso non è solo chi prende la pistola e spara, ma anche colui che ti spinge a cercare le soluzioni sottobanco, o colui che pensa di dover fare dei favori per avere quelli che sarebbero suoi diritti». Al problema culturale si aggiungono le difficoltà, come per ogni nuovo giornale, di ritagliarsi uno spazio tra le pubblicazioni siciliane già esistenti.

Il mensile, autofinanziato, ha suscitato reazioni diverse: se da un lato si sta guadagnando una discreta cerchia di lettori, dall’altro ha ricevuto l’indifferenza di politici e istituzioni, anche di quelli che chiama in causa. «Lo ignorano semplicemente perché aspettano che muoia di morte naturale, perché sperano che la gente non ne sappia nulla o lo dimentichi», dice Gianpiero. Questioni come quella del racket sono piuttosto delicate da trattare: poter ridere della mafia sembrerebbe un lusso, soprattutto per coloro che il pizzo lo pagano veramente. In realtà, secondo Caldarella, «non si tratta tanto di permettersi un lusso. La questione più importante  è che finora ci siamo permessi un’oscenità, cioè quella di non parlare assolutamente di certi fatti di mafia, di nasconderli. Riderne significa ammetterne l’esistenza, in un tempo in cui il fenomeno viene ridimensionato».

E se fino a qualche decennio fa c’era qualcuno che diceva che Cosa Nostra non esisteva – ed ancora oggi troviamo qualche recidivo – oggi c’è chi afferma che con la mafia bisogna convivere. «Di questo passo – conclude Gianpiero – chi può escludere che tra trent’anni qualcuno ricomincerà a dire che la mafia non esiste?».

 

Per conoscere i punti vendita dove potete trovare Pizzino:
www.scomunicazione.it

Sara Frisina

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