«Non ha senso sperare di risolvere la questione del degrado del centro storico sedando le risse, bisogna evitare che avvengano. Le liti scoppiano perché i ragazzini si ubriacano. Come fanno a ubriacarsi? Grazie ai locali che offrono cocktail e shottini a due euro vendendoli ai minorenni. A quelli bisognerebbe ritirare le licenze immediatamente». Giuseppe Patanè ha 46 anni, è uno dei più anziani barman di Catania. Nel suo curriculum tutte le discoteche più note della città, l’esperienza di un’attività in piazza Teatro Massimo nel 1993 e, adesso, un lavoro in un lounge bar poco distante da via Landolina, il luogo in cui, il 28 ottobre scorso, una rissa finita a coltellate ha fatto esplodere il problema della sicurezza nelle strade e nelle piazze della movida catanese. «I gestori – racconta Patanè – dicono ai giovani barman di servire tutti i clienti, e quelli non chiedono i documenti perché temono di non essere più chiamati a lavorare». A questo si aggiungono i prezzi bassissimi degli alcolici venduti: «Un cocktail medio, con materie prime di qualità, costa al locale almeno un euro. Se lo vendi ad appena 1,50 euro, vuol dire che stai usando alcolici di bassa qualità. E anche quelli fanno male», spiega.
Ma l’alcol a un prezzo conveniente è di sicura attrazione per gli adolescenti, «dai 14 anni in su», che affollano gli american bar del centro cittadino. «È ovvio che il loro pubblico di riferimento siano i ragazzini che, con cinque euro, invece di bere soltanto un cocktail bevono diversi shottini. I banconi di questi locali sono pieni di minorenni che si ubriacano e diventano violenti». Una situazione che, dal suo punto di vista privilegiato di lavoratore della zona, ha visto precipitare in pochi mesi. Per capire con quali pub ce l’abbia Patanè, «basta leggere i cartelli che mettono fuori dalle porte: i prezzi bassi servono ad attirare i clienti, e tutti i locali si adeguano perché, anche se si tratta di concorrenza sleale, tutti devono andare avanti». E se le forze dell’ordine non possono sindacare sulla qualità delle materie prime e sulla marca di questo o quell’altro liquore, «possono chiedere ai ragazzini coi bicchieri di plastica in giro per piazza Teatro Massimo dove hanno comprato l’alcol che stanno bevendo, andarci e denunciare barman e titolare». Del resto, «con tutti i controlli che si fanno a ristoranti che usano merce scaduta, perché non se ne fanno altrettanti agli pseudo american bar con gli shottini a un euro e il personale non in regola?».
Nel 1993, quando lui ha aperto il suo locale in piazza Teatro Massimo, «venivamo tartassati di controlli». L’obiettivo dell’epoca era sì portare i catanesi tra le strade di Catania per renderle vivaci, «ma c’era anche voglia di farlo bene. Adesso sembra che l’amministrazione punti solo alla quantità delle licenze che concede più che alla qualità della vita notturna cittadina». La colpa delle politiche dei prezzi e della vendita indiscriminata di alcolici, per Giuseppe Patanè, non è solo di proprietari che «hanno un modo scorretto di ragionare», ma anche dei suoi colleghi barman «che non dicono di no». «Io mi rendo conto di essere in una posizione diversa dai giovani perché ho un’esperienza tale da potermi permettere di rifiutare certi datori di lavoro. Ma in tutta la mia carriera ho sempre rifiutato i compromessi e rispettato le regole, e ho sempre lavorato». La legge, in fondo, parla chiaro: «Basterebbe rispettarla per stare meglio tutti: smettere di dare le birre in bottiglia per risparmiare sui bicchieri di plastica, smettere di servire gli adolescenti, smettere di servire alcolici dopo una certa ora – conclude Patanè – Insomma, basterebbe avere un’etica professionale e usarla per combattere il degrado del centro storico».
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