‘Passi’, il movimento non basta…

Titolo: Passi
Autore: Samuel Beckett
Regia: Salvo Gennuso
Suoni: Giancarlo Trimarchi
Luci: Salvo Gennuso
Trucco: Sonia Burgio
Interpreti: Elaine Bonsangue
Direzione Tecnica: Carmelo Pellegrino
Produzione: Statale 114

 

Anno 2006. Si festeggia il centenario della nascita di Samuel Beckett, Premio Nobel per la Letteratura (1969) e tra i massimi rappresentanti del “teatro dell’assurdo”: uno dei filoni teatrali più affascinanti ed enigmatici. Mentre a Parigi (sua seconda casa) il prossimo autunno si terrà un Festival interamente dedicato a questo genio, a Catania il regista Salvo Gennuso decide di omaggiarlo con la mise en scène di “Passi” il 27 e 28 Maggio presso la sede di Scenario Pub.bli.co.

 

Il teatro di Beckett si autodefinisce, autoevidenzia. Assurda è la trama, inconsistenti i dialoghi, paradossali le situazioni, grave l’atmosfera, ripetitivi e meccanici i movimenti. Insomma, questo e molto altro ancora è racchiuso in tutte le sue opere, dalla più conosciuta “Waiting for Godot” a “Endgame”. La pièce che ha scelto Gennuso (afferma infatti l’attrice protagonista “è l’opera che ha scelto noi”) è tanto esplicita quanto ambigua nella traduzione italiana del titolo. “Passi” è un dramma in 4 atti, introdotti da un rintocco di campana: nell’immensità di un capannone buio un riflettore illumina un scia di pavimento nudo che verrà solcato avanti e indietro per l’intera durata della rappresentazione (mezz’ora circa) da una corpo svestito. Lei è May, una donna sulla quarantina. Ma non è sola. Ad accompagnarla in questo lento tragitto su e giù sono delle voci: dalla madre a Amy alla madre di Amy, Mrs Winters. Nel voluto Gioco di nomi, tra anagrammi (Amy-May), rivelazioni (May era il nome di battesimo della madre dello scrittore) e indizi (“may” in lingua inglese è un verbo modale che indica “probabilità”) si cela forse un’unica voce, quella della sua coscienza. È un alito di vita che emette discorsi inconsistenti, frasi interrotte e poi riafferrate, silenzi rumorosi, trasmettendo la sensazione della catastrofe. Si tratta della tragedia dovuta allo stato di approssimazione alla morte in cui vacilla il comune personaggio beckettiano.

 

In occasione di un seminario tenuto lo scorso mese al Palazzo Centrale in onore del grande artista irlandese, Salvo Gennuso ha confessato “Beckett mi sta friggendo il cervello da qualche anno”, “è l’autore teatrale che più di ogni altri amo”. Tale divorante passione per il brillante maestro si riversa nella dovizia di particolari e attenzione che il regista ha usato nella realizzazione dello spettacolo. Pur rimanendo fedele ad un testo di per sé già funzionante nel suo scopo (sconvolgere e far riflettere il lettore/spettatore), egli inserisce qualche preziosità, di personale interpretazione. È il caso dell’unico capo d’abbigliamento della donna in scena. Lo scialle del testo beckettiano prende nell’immaginazione di Gennuso la forma di un velo, dalla molteplice simbologia. È una sorta di sudario, velo della passione, che nel finale viene abbandonato a terra, annunciando come una possibilità di riscatto, resurrezione. È, o meglio potrebbe essere, il drappo d’organza che avvolge la donna, come una sposa illibata. È usato come affascinante richiamo ad una figura “fantasmale”, dalla identità sfuggente. Ma nelle intenzioni del regista siciliano è soprattutto uno strumento che concorre al Gioco del vedo-non vedo insieme ad un accorto uso delle luci. La protagonista sarà “indistinta eppure visibile, con una certa luce, una giusta luce”.   

 

A seguito della rappresentazione, la maggior parte del pubblico in sala si è trattenuta per partecipare ad una chiacchierata sulle impressioni “a caldo”. La conferenza, coordinata dalla professoressa Cetty Rizzo (che si è anche occupata della consulenza scientifica), è stata presieduta da Fernando Gioviale, docente di Storia dello Spettacolo ed il preside della Facoltà di Architettura Ugo Cantone. Non pochi gli apprezzamenti per la bella regia di Gennuso e per la “rigorosissima esibizione” di Elaine Bonsangue, unico personaggio in scena. Sebbene innervosita dai rumori in sala (dice Gennuso “stavo per sospendere tutto!”), minimi ma ugualmente percettibili e fastidiosi in un’opera fatta tutta di silenzi e suoni, l’attrice è stata soprattutto encomiata per l’interpretazione di un “percorso narrativizzato” all’interno di uno spazio scenico. Disinvolta e convincente, tutta cosparsa di fango a qualcuno ricorda una scultura di Michelangelo: immagine scolpita e imprigionata nel marmo, come metafora di una vita che “costringe”.

Un tema dell’incontro è stata la simbologia fortemente marcata che pervade tutto il testo, con particolare riferimento al numero dei passi. Nella versione francese sono 9, in quella inglese 7. Il loro ritmo scandisce il tempo scenico ed è di reminiscenza esoterica. Ricorda il gioco dello “sciancatello” che deriverebbe da un avanzamento del corpo verso l’anima, rappresentata dal sassolino che si tira dentro il confine del quadrato della vita. Altro argomento scottante dell’incontro è stata la decodificazione del “terzo elemento”, presente ma invisibile. Per il regista è il gioco di luci che interagisce con le voci narranti quasi come un terzo personaggio; per altri è il pubblico, “voyeur” chiamato in causa da Beckett stesso (“Il teatro è un attore che attraversa la scena e uno spettatore che lo guarda”). Secondo il professore Gioviale ha una denotazione sacra: si tratterebbe di un’assenza-presenza invocata attraverso un disperato urlo, come suggerisce il passaggio finale “L’amore di Dio e la Compagnia (Comunione, in francese) dello Spirito Santo siano con tutti noi. Amen”.

  

Infine, l’intervento di Gennuso: “Oggi il teatro è fortemente necessario, per la sua valenza politica. Non credo che in questo momento storico ci siano autori più “necessari” di Beckett. Non c’è altro autore capace come lui di mettere in scena la contemporaneità. Vorrei realizzare anche “Endgame”…se me lo producono!”. Con questo invito si è chiuso l’incontro. Sottolineando la grandezza e ricchezza di un autore in grado di scrivere opere sempre attuali, detentrici di un messaggio universale, ma confondendo le piste e lasciando i testi aperti a molte ed impensabili interpretazioni. Cercare una soluzione unica significherebbe cadere in un tranello tautologico.

Benedetta Motta

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