Guardare avanti con fiducia dopo la sconfitta incassata a Roma sembra impossibile. Si tratta, però, dell’unica cosa da fare, soprattutto per la batosta incassata nella Capitale e per un calendario che nelle prossime gare riserverà impegni proibitivi al Palermo. I rosa, all’Olimpico, non se la sono neppure giocata e questa è probabilmente la cosa che dà più fastidio ai tifosi. Nonostante le attenuanti, non si può pensare che le assenze contemporanee di Sorrentino, Goldaniga e Lazaar abbiano indebolito più di tanto la squadra. A Iachini l’arduo compito di raccogliere i cocci e rimettere insieme i pezzi di una gestione, quella societaria, che non convince.
Il Palermo che lottava per la Champions, quello che andava ogni anno in Coppa Uefa o Europa League, quello capace di vincere in trasferta con Juventus, Milan, Fiorentina, Lazio e Roma, sembra non esistere più. La società già da qualche anno ha ridimensionato il progetto, limitandosi esclusivamente a puntare su delle giovani promesse. La linea è più o meno quella seguita anche negli ultimi dieci anni, ma ai rosa non erano mai mancati i giocatori di esperienza in ogni reparto capaci di fare la differenza. Per citarne alcuni: accanto a Kjaer giocava Carrozzieri; accanto a Cavani, Pastore, Hernandez e Dybala c’erano atleti del calibro di Amauri, Liverani, Simplicio e Miccoli. Oggi il Palermo può contare sull’esperienza di Vazquez e Gilardino in avanti ma i due, da soli, non possono fare miracoli.
Di chi sono le responsabilità? C’è chi pensa ai giocatori. Ma loro sono lanciati come un qualsiasi gruppo di giovani che giocano per guadagnarsi la pagnotta. Si deve allora pensare al tecnico o ai tecnici? Neppure, perché loro sono costretti a lavorare con il materiale umano che hanno a disposizione. È allora colpa dei tifosi? Per quanto potrebbero fare di più, non sono loro ad andare in campo: un tifo più unito e coeso sicuramente sarebbe più emozionante da vedere, ma forse non potrebbe fare la differenza. A questo punto non resta che la società. Il patron rosanero, Maurizio Zamparini, ha dimostrato di sapere costruire una squadra capace di fare quasi-miracoli. Si spera che allo stesso modo non sappia distruggerla. E poco importa se il bilancio è sano ma ci si ritrova a lottare per non retrocedere. Specie quando il presidente, a inizio stagione, parlava di Europa.
Proprio le promesse, spesso non mantenute, sono probabilmente quello che la tifoseria palermitana fa più fatica a digerire. Che la squadra non fosse da scudetto o da Champions lo si sapeva già, ma basta poco per infiammare la piazza rosanero. E se il presidente parla di Europa alla vigilia del campionato, tutti – o quasi – si convincono che sia un traguardo raggiungibile e che forse l’epoca del mercato al risparmio è finita. In compenso arrivano tanti, anzi troppi giovani di belle speranze che, dopo un inizio entusiasmante, cedono davanti alle prime difficoltà. I risultati ne risentono e l’umore della piazza pure. Forse l’ingrediente necessario è un po’ di onestà intellettuale. Dire che la squadra può solo ambire alla salvezza, anche all’ultimo secondo dell’ultima giornata di campionato.
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