Palermo, i burattini e Mangiafuoco

Ad osservare la vicenda delle amministrative di Palermo, bisogna riconoscere che la Città sta dando di sé il peggiore spettacolo. Sembrano lontani anni luce i segnali di liberazione che animarono la collettività negli anni ’80 e ’90. Si situano a distanza siderale i fermenti, l’immaginazione, il bisogno di riscatto che fecero di Palermo il palcoscenico d’Italia.
Più che un grande palcoscenico su cui puntare gli occhi in attesa che si alzi il sipario, Palermo appare oggi come uno sgangherato teatrino di picari girovaghi, un po’ rattoppato, con le ruote cigolanti, i fondali strappati, i costumi laceri. Ganci precari e pezzi di corda trascinano stancamente le suppellettili di scena: qui un pugnale finto, lì una corazza di cartone, più avanti una colonna di cartapesta che ha perso i colori e lascia intravedere il legno marcio che ne costituisce l’anima. All’interno sono ammucchiati tanti burattini – burattini, si badi bene, e non marionette, pupi o paladini – quelli cioè che, non avendo alcuna anima, prendono vita solo se qualcuno  decide di usarli, agitandoli a caso, lasciando sciattamente intravedere il proprio polso o la manica. Senza pudore, senza arte, senza amore, senza nemmeno vergogna.
E così i burattini stanno lì, l’uno sull’altro, ignari del proprio destino. Non sapranno mai chi quel giorno li prenderà e li porterà in scena: sarà bravo? sarà onesto? saprà dare loro un’anima? forgerà per loro un carattere? inventerà una storia per cui saranno ricordati?
I burattini non lo sanno e forse non importa loro un granché saperlo. Sperano solo che l’indomani qualcuno, anziché verificarne lo stato e ritenerli talmente logori da gettarli in un fosso, li prenda, li usi, regali loro ancora qualche settimana di vita, anche se da burattino. Tutti ancora tremano al ricordo della fredda sera d’inverno in cui ad alcuni di essi toccò di fare da combustibile per il fuoco serale. Videro bruciare il vecchio Peppe, che in effetti era tra i più malridotti, il simpatico Giacinto che da anni, pur recitando la parte del giovanotto, era tenuto insieme con il fil di ferro, la grossa Giovanna che, in effetti, si prendeva un bello spazio nel retro del carro. Ancora inorridivano al ricordo di quella sera, quando i tre sfortunati burattini, del tutto inconsapevoli del proprio destino, ancora si vantavano, si mettevano in mostra, assicuravano ai colleghi che per loro si stava certo preparando un grande spettacolo e, persino, promettevano che, una volta raggiunto il successo, avrebbero portato con loro i più simpatici e i più fedeli. Mani esperte avrebbero dato la vita e la voce e di loro si sarebbe parlato per molti anni.
Ma quella sera, quando vennero a prenderli per alimentare il bivacco, tutto sembrò crollare loro addosso. Come avrebbero fatto adesso? Quale destino li aspettava? Ma soprattutto ciò che li rodeva di più erano le promesse fatte agli altri burattini che ora, invece, li guardavano, agitati da strani e opposti sentimenti. Dire loro che era l’ultima volta che si vedevano? Illuderli che stavano per essere portati in scena? Mostrare di credere ancora alle loro promesse di un futuro radioso? O forse, meglio, un dignitoso silenzio, un disprezzo, nascosto ma forte, per la loro ingenuità o per la superbia che li avevano condotti a quel punto?
L’attesa finì quando due mani robuste e pelose si insinuarono nel retro del carro e scostando, le tende a brandelli furono seguite dalla barba di Mangiafuoco e dalla sua sonora risata. Con un rapido gesto, abbrancò i tre sfortunati burattini, li strattonò per separarli dal groviglio degli altri e, lasciandosi ricadere alle spalle il tragico sipario di quella sera, li gettò nel fuoco che stava per spegnersi. Non avrebbe mai permesso che il montone arrostisse a metà e sapesse di fumo.
Quella sera Mangiafuoco nel bivacco allestito sulla spiaggia di un mare indifferente, mangiò il suo montone che sapeva un po’ di vernice e di stoppa ma, almeno, era cotto a puntino.
Sazio e soddisfatto si addormentò, sognando che mai avrebbe rischiato di mangiare pane secco. C’erano tanti burattini in quel carro, da alimentare il suo fuoco per anni e per tenere il suo corpaccione caldo e ben nutrito. Non come quell’altro sprovveduto suo collega che si era illuso di essere protetto dal Cielo e che aveva fatto una brutta fine, lasciando che i propri burattini lo mettessero nei guai e si sostituissero a lui, illudendosi di essere vivi.
Quella notte il tempo cambiò, il mare che sembrava una lastra di vetro nero cominciò a spumeggiare, le onde si alzarono e cominciarono a poco a poco e sempre più violentemente prima a lambire la spiaggia e poi a ricoprirla sempre di più. Dal largo le balene, le orche ed i capodogli, spinti dalla furia dei marosi lasciarono le profondità degli abissi ed emersero, forme enormi e oscure, come fantasmi venuti dal passato. Uno dei cetacei, una balena dal dorso ricoperto di innumerevoli conchiglie – ciascuna delle quale le ricordava un mare percorso, un oceano attraversato, uno stretto varcato di misura, la chiglia di una nave che l’aveva sfiorata ma mai seriamente ferita – fu sospinta sulla spiaggia e, scorgendo l’uomo addormentato sotto il carro, con un potente colpo dell’immensa coda, in un attimo spazzò via entrambi, come il vento solleva le foglie morte e le fa vorticare in una danza senza senso.
Per un attimo si videro volare stracci, brandelli di membra umane, pezzi di carro, braccia e teste di burattini e persino i miseri resti dei tre che avevano alimentato, loro malgrado, il fuoco di quell’ultima sera.
Poi, com’era cominciato, tutto finì, il vento cessò, il mare si ritrasse portando con sé le creature degli abissi che esso stesso aveva evocato. Sulla spiaggia non rimase nulla, solo più in là, appena oltre il limitare del bosco, gli uccelli sugli alberi rimasero a guardare attoniti, incapaci di un solo canto, muti anche davanti al sole che stava già per alzarsi dalle profondità di quel mare, tornato indifferente. All’orizzonte, già lontani ed imprendibili, gli immani dorsi ricurvi delle balene sembravano diretti a nord, verso altre spiagge, verso altri fuochi.

 

 

Loris Sanlorenzo

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