Ong, audizione di Moas in commissione Difesa «Non abbiamo mai ricevuto denaro da Soros»

«Non abbiamo mai ricevuto donazioni da George Soros». Ad affermarlo è uno dei componenti della delegazione di Moas, nel corso dell’audizione in commissione Difesa del Senato. L’organizzazione non governativa ha risposto alle domande dei parlamentari in merito alle attività di soccorso che dal 2014 effettua nel Mediterraneo, salvando i migranti che partono soprattutto dalla Libia. Ed è proprio in merito ai presunti rapporti con i trafficanti libici che, in queste settimane, la Ong fondata dai coniugi Catrambone si è trovata insieme ad altre al centro delle polemiche, seguite alle parole del capo della procura di Catania, Carmelo Zuccaro, che ha sollevato numerose perplessità sulla trasparenza delle azioni messe in campo dall’organizzazione.

Accuse che Moas, oggi, ha respinto anche davanti all’organo parlamentare, che in questi giorni ha ascoltato sia Zuccaro che la guardia costiera nazionale, l’autorità che coordina le Sar, le operazioni di ricerca e soccorso, quindi anche gli interventi di Moas. Rapporto di subordinazione che è stato ribadito dall’organizzazione. «Lavoriamo sotto il coordinamento della centrale operativa di Roma – hanno dichiarato i responsabili della Ong -. Le operazioni vengono realizzate in sinergia con le autorità italiane ma anche con le altre Ong che capita che ci aiutino. Tutte le informazioni che Moas riceve o reperisce – specificano – vengono condivise con la guardia costiera. Seguiamo le loro istruzioni anche per quanto riguarda gli sbarchi».

Durante l’audizione, tante sono state le domande riguardanti i protocolli di soccorso. A partire dal presunto spegnimento dei transponder che a detta di Zuccaro, che a sua volta si è rifatto a un dossier prodotto dall’agenzia europea Frontex, alcune Ong avrebbero in più di un caso effettuato. «Non abbiamo mai spento i transponder, lavoriamo ai sensi degli obblighi internazionali», ha risposto la delegazione al senatore di Forza Italia Paolo Romani. Mentre per quanto riguarda il tratto di mare battuto dalle navi di Moas – Phoenix e Topaz Responder, attive contemporaneamente soltanto a fine 2016 -, l’organizzazione ha spiegato di lavorare soltanto «in acque internazionali», con eccezionali sconfinamenti in quelle territoriali libiche «solo su indicazione della guardia costiera». Chiarimenti anche sull’uso dei droni. «Li abbiamo usati perché sono efficienti. Costano tanto? Sì, ma nel 2016 ci hanno permesso di individuare 14mila migranti».

Al centro del dibattito, poi, c’è stata la questione economica. La missione della Ong, così come quella di altre organizzazioni simili, costa circa undicimila euro al giorno. «Abbiamo raccolto fondi da singoli individui, associazioni e sponsor in tutto il mondo – ha spiegato la delegazione nella breve relazione introduttiva -. Un aumento delle donazioni è stato registrato in concomitanza con le gravi tragedie, come la morte del piccolo Alan Kurdi a settembre 2015». Risorse che sarebbero regolarmente descritte nei bilanci dell’organizzazione, nonostante alcuni senatori abbiano lamentato la mancata pubblicazione on line. «Ci sono sul sito e comunque non abbiamo problemi a fornirveli», ha ribattuto la delegazione.

Tra gli interventi, c’è stato anche quello del leghista Sergio Divina che ha lamentato il fatto che le Ong non abbiano tra gli obiettivi quello di prevenire e perseguire i trafficanti, ma solo quello di salvare vite umane. «Direttamente o indirettamente state incentivando il fenomeno e la cosa ci preoccupa. Perché non investite i soldi nei territori di origine così elimineremmo i morti in terra?», ha detto Divina. Moas ha risposto ribadendo che la Ong non ha compiti di polizia giudiziaria. «Il nostro progetto operativo è stato accettato dalle autorità nazionali e abbiamo ricevuto l’encomio dell’allora comandante della guardia costiera. Comunque, quando siamo in mare, riferiamo alle autorità tutto ciò che facciamo, riportando tempi, immagini e localizzazione di quello che incontriamo».

Infine si è parlato anche delle bandiere battute dalle navi – «non ci interessiamo alla nazionalità, abbiamo semplicemente cercato i mezzi con le caratteristiche di cui avevamo bisogno» – e della strumentazione di bordo a disposizione di Moas. «Abbiamo una radio con due canali, ascoltiamo come tutte le imbarcazioni chi parla su quelle frequenze, ma non captiamo contatti riservati», ha concluso la delegazione.

Simone Olivelli

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