Nuova beffa per la statua senza testa L’odissea del monumento lasciato all’incuria

Che sia un’altra goliardata (l’ennesima) o un messaggio non è dato sapere. Sta di fatto che da ieri notte i catanesi possono ammirare l’ennesima beffa ai danni della solita statua acefala sotto le mura di Carlo V, in via Dusmet. Dopo la sua trasformazione nella versione moderna – e illuminata – di Darth Fener, una gabbietta per uccelli, forzata dall’immaginario prigioniero piumato, fa bella mostra di sé appesa al dito del sovrano borbonico sulla cui identità si è dibattuto nelle scorse settimane su CTzen. Ferdinando II di Borbone secondo Davide Cristaldi – consulente informatico giarrese d’origine, ora a Milano – appassionato di epoca borbonica che ha pubblicato il suo studio on line. «Trattasi di Ferdinando I, il cosiddetto re nasone che regnò per più di sessant’anni. Forse non ve ne siete accorti visto che il naso è andato perduto assieme alla testa, of course», rispondeva tra i commenti Luciano Granozzi, docente di Storia contemporanea all’Università di Catania. Un mistero condito di incuria nei confronti dei tre monumenti di epoca borbonica rimasti nella città etnea e strane somiglianze.

Come suggerito dal docente, la risposta all’identità misteriosa del sovrano senza testa sembra trovarsi tra le pagine di un opuscolo contemporaneo ai monumenti: Le tre statue del Calì a Catania, volume del 1853 curato da Antonino Longo, professore di Fisica dell’università etnea e presidente della società economica della provincia. Le sue descrizioni e i disegni delle statue vengono riprese più di recente da Enrico Iachello, ex preside della facoltà di Lettere e filosofia dell’ateneo di Catania, nel catalogo della mostra I Borbone in Sicilia. La storia tramandata dai contemporanei ad Antonio Calì, autore delle opere etnee, non lascia dubbi. Dopo il 1817, racconta Longo, Catania viene promossa da Ferdinando I a intendenza: per ringraziare il sovrano, i catanesi richiedono il permesso di erigergli una statua. Ma il re, in tempi che oggi si direbbero di spending rewiev, oppone un gentile rifiuto.

I cittadini etnei dovranno aspettare il suo successore, Francesco I, per poter edificare il primo monumento: nel 1833, in piazza Università, con il sovrano nei panni di un antico romano. Dopo sarà la volta di Ferdinando II, la cui statua – anch’essa di gusto classico – sorgerà in piazza Stesicoro nel 1842: con il re appoggiato alla poppa di una bireme. Un ringraziamento, spiega Longo, per essersi speso per il completamento dei lavori del molo di Catania. «Secondo un amico, appassionato come me – spiega Cristaldi – Avrebbe potuto trattarsi di Ferdinando I perché si deve a lui riforma della marina militare». E invece, dice Longo, al re nasone – ormai morto e impossibilitato a opporsi – venne dedicata l’ultima statua, nel 1853 in largo San Francesco. La più grande e moderna, nella quale il sovrano indossa l’uniforme del Gran Maestro del Real ordine di San Gennaro. Proprio come quella adesso acefala in via Dusmet.

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All’arrivo dei garibaldini tutti e tre i monumenti finiranno, mutilati e maltrattati, negli scantinati dell’ex monastero dei Benedettini, allora magazzino comunale. Ritrovati nel 1964, verranno esposti di nuovo in città nel 1970. «Quelle di Ferdinando I e II nella villetta Pacini, quella di Francesco I in via Dusmet», scrive Iachello. Ma non era Ferdinando I? O al massimo II? Un passaggio che potrebbe alimentare di nuovo il mistero, ma che più probabilmente è frutto di una svista. Dell’autore o della fonte citata: un’edizione de La Sicilia del l’11 febbraio 1970. Ma a far vacillare Davide Cristaldi è sempre stata la somiglianza con la statua bronzea, quella sì di Ferdinando II, a Messina. Scolpita nel 1839 da Pietro Terani, la statua messinese tiene «la mano sinistra sull’elsa della spada e la destra nell’atto di offrire alcuni diplomi», ricostruisce la pagina on line dedicata al monumento dal Comune di Messina. Proprio come quella catanese di Ferdinando I, diploma compreso e oggi andato perduto insieme alla testa. Sciolto durante la rivolta del 1848 per produrre armi, il monumento messinese viene riprodotto da Terani nel 1852: un po’ diverso dall’originale, ma sempre molto simile a quello etneo. Chi ha copiato chi? Stando alle date, sembrerebbe Calì.

«Che si tratti di Ferdinando I o II, quello che non capisco è perché il Comune di Catania tratti così delle statue di pregio», dice Cristaldi. E infittisca il mistero lasciando privi di targa i monumenti a Francesco I e Ferdinando II alla villa Pacini. Richiesta che lo stesso Cristaldi ha fatto all’amministrazione etnea tramite raccomandata: «Ma non mi hanno mai risposto». «Catania, dopo Napoli, è la città dove sono rimaste più statue del periodo borbonico. Altrove tutte distrutte – conclude – E’ un delitto lasciarle all’acqua e al vento, in balia dei vandali. Ma, soprattutto, che gli rimettano la testa». Intanto, sempre acefalo, il sovrano può sfoggiare un’artistica gabbietta forzata. Un simbolo del potere spezzato?

Claudia Campese

Giornalista Professionista dal 2011.

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