Un posto nel mondo E tu, che parcheggiatore sei?

Cari vertebrati,

che bisogna conquistare un posto nel mondo lo sappiamo fin dalla nascita. Fino a quando ci divertiamo nel ventre materno, sguazzando nella nostra piscina privata, e da fuori ci giungono soltanto dei suoni alquanto ovattati, va tutto stupendamente; ma, una volta all’esterno, iniziano i veri e propri guai: i quali peraltro si vanno aggravando con lo scorrere fulmineo della storia.

Diciamocelo chiaramente: prima era assai più facile trovare uno spazietto personale sul pianeta. Camminando lungo le strade dell’antica Roma, al massimo, avresti potuto trovare la tua pietra preferita occupata da uno stoico. Ma adesso, dopo la rivoluzione industriale, è diventata tosta.

Innanzitutto perché siamo tantissimi, la superficie terrestre abitabile non è illimitata, e perfino le risorse essenziali si stanno esaurendo. E poi perché, ormai, siamo in simbiosi con un involucro metallico; anche neji spostamenti più brevi.

Sì, sto proprio parlando dell’automobile. E fintanto che ci si sposta con le quattro ruote, il carattere di ogni singolo individuo è decifrabile, ma sfuggente. Ma quando ci si ferma tutto cambia: il momento del parcheggio può portare tranquillamente a scrivere un trattato di antropologia.

Perché i modi di posteggiare sono tanti, ed ognuno, in questa pratica, si esprime in maniera differente. Ci sono, per esempio, i piallatori. Gente che, quando parcheggia, non si accorge di nulla. Anche se dovesse esserci un tir ad occupare lo spazio agognato, il piallatore procede, e, tutt’al più, lascia la macchina sul camion. E se un vigile dovesse avere la malaugurata idea di multare l’animale, quest’ultimo piallerebbe perfino il pubblico ufficiale. Con un uppercut alla Foreman.

Poi ci sono ji autoscontristi. E’ una categoria che, apparentemente, potrebbe parere più educata. Questi individui si limitano a dare un’infinità di colpettini ai veicoli che sono davanti e dietro, per fare largo alla propria vettura. Dapprima agiscono con discrezione, quasi a voler chiedere permesso, successivamente, se non ci sono i proprietari delle auto coinvolte, prendono progressivamente coraggio. E quasi sempre riescono nell’intento. Con il risultato di avere trasformato la fila in cui si sono inseriti in una serie di monovolume ulteriormente compresse.

Un altro genere di posteggiatori importanti è quello deji svojati. Ji svojati lasciano la macchina dove capita: tra i binari del tram, davanti al cancello di una proprietà privata, sulle scale di una chiesa. E quando tornano dalle loro commissioni urgentissime (solitamente vanno a prendere un imprescindibile caffè), si stupiscono dell’accojenza che viene loro riservata. Rischiano quotidianamente il linciaggio, e quotidianamente rifanno quel che hanno fatto il giorno prima. Per di più con un disarmante senso di innocenza che li protegge miracolosamente da qualsiasi ceffone.

Ma la lista non finisce qui. Vojamo parlare dei comodi? I comodi possono tentare di parcheggiare per più di un’ora, con delle manovre in retromarcia a dir poco deliranti. Credo che siano affetti da una forte sordità; non si spiegherebbe altrimenti l’assoluta indifferenza con la quale accolgono i clacson che li sollecitano disperatamente. Di consueto, quando sono riusciti a portare a compimento l’operazione, aprono lo sportello e dicono, con voce sprezzante: ma quanta fretta!!!! Non si può aspettare nemmeno un attimo? I comodi sono generalmente più sfortunati deji svojati. Subito dopo aver proferito queste parole, vengono calati nella rete fognaria per non riemergerne più.

Infine ci sono quelli delle parole crociate: i quali credono che le file per il parcheggio possano svilupparsi sia in verticale che in orizzontale; e che poi debbano essere ji altri a risolvere il problema. Sono ji inventori delle doppie, triple, e perfino quadruple file. Riempiono le strade fino all’inverosimile, con la volontà feroce di intimorire il pedone, o il ciclista; questi ultimi devono fare ogni sorta di slalom pur di percorrere pochi metri.

Concorderete: è così che si formano ji ingorghi; i vigili non ne hanno colpa alcuna.

Di fronte a tutto questo possiamo ancora stupirci se i bambini, una volta venuti alla luce, piangono? La causa non è, come sembrerebbe, la sculacciata dell’infermiera di turno.

No, i poveri infanti pensano già all’auto che verrà; col timore di non trovare il loro posto nel mondo.

 

Leggi il post nel blog Del mio mejo 

[Foto di korrey]

Redazione

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