«Vi farò gli auguri e parleremo di bilancio», ha esordito il Rettore, Antonino Recca, lunedì pomeriggio nell’Auditorium del Monastero dei Benedettini, in occasione del consiglio congiunto delle facoltà di Lettere e Lingue.
Felicitazioni e soldi: un ossimoro, praticamente.
Quella che doveva essere una tranquilla occasione per dirsi “buon Natale” in amicizia, è diventata una conferenza del Rettore sullo stato delle casse dell’Ateneo che, più che prepararsi ad un bianco Natale, si avvia inesorabilmente verso un Natale al verde.
Partendo dal 3+2, attraversando le questioni dei tagli della riforma Gelmini e della qualità della didattica, si è approdati al problema precari e ricerca, fino ad arrivare alla discussione sulle sedi decentrate, in una escalation di allegro pessimismo.
«Sui forum aperti nel sito d’Ateneo e anche su Step1», ha detto il prof. Recca, «mi sono stati offerti degli spunti interessanti, che intendo approfondire in questa sede e non soltanto».
Il 3+2 è stato un fallimento, «a prescindere dal colore del Governo sotto il quale è stato applicato. Le parole “autonomia” e “libertà” sono state intese, dagli atenei, la prima come “abuso” e la seconda come “anarchia”. I problemi si risolvono facendo i professori, non i deputati».
La situazione economica dell’università in Italia, poi, non è certo delle migliori: «Nel 2010 avremo un miliardo e mezzo in meno rispetto al 2008. Senza risorse economiche non si va da nessuna parte». Ed è proprio per la mancanza di soldi che il numero di corsi di studio verrà diminuito, «anche grazie ad una commissione che si occuperà di valutare i bilanci di ogni singola facoltà. Saranno attivati soltanto i corsi che le facoltà potranno permettersi di pagare». Basta, inoltre, con lo scandalo dei contratti a titolo gratuito, «dato che in Senato accademico abbiamo approvato un minimo ed un massimo contrattuali, che non si possono sforare in alcuna maniera».
Argomento passato quasi in sordina (probabilmente perché non riguardava questioni stipendiali), quello dell’accesso a numero programmato per tutte le facoltà, previsto per un futuro prossimo: le università devono avere un numero di studenti massimo, in relazione al numero di professori, per garantire una certa qualità della didattica. Se i professori vengono ridotti per via della mancanza di soldi, va da sé che anche gli studenti dovranno essere di meno, e se vi sembra un cane che si morde la coda, badate bene che si tratta soltanto di un’impressione.
«L’idea è quella di informatizzare tutto il sistema», spiega il Rettore. «Gli studenti selezioneranno la facoltà che preferiscono, e poi una lista di alternative. Avranno la possibilità di fare tutti i test per l’ammissione a tutte le facoltà, dato che saranno fissati in giorni diversi. Ad esempio: se uno studente selezionasse come prima opzione Lettere e non riuscisse a superare i test, probabilmente li supererebbe per la seconda opzione, ad esempio Lingue, o per la terza, Scienze Politiche. In un meccanismo di estrema trasparenza».
(Menomale che mi sono iscritta all’università prima della riforma Gelmini, altrimenti rischiavo di finire a Fisica, io, che non so fare neanche le divisioni senza calcolatrice).
Sulla questione dei test, è intervenuto il professore Mario Pagano, docente di Filologia romanza: «I test saranno in mano alle facoltà, vero? Non rischiamo che si inneschino meccanismi vergognosi come quelli dei corsi di preparazione a facoltà come Medicina?». «Vigileremo affinché ciò non accada», l’ha tranquillizzato Recca.
Tema scottante quello dei “precari”, «che affligge soprattutto la facoltà di Lingue, nella quale s’è sviluppato un errore sostanziale: i docenti a contratto non possono essere definiti precari. Guardandovi negli occhi, nel Paese non c’è una grande preoccupazione per le università, visti gli altri problemi del momento. Migliaia di lavoratori stanno perdendo il posto: cosa credevamo? Che da noi non sarebbe successo? Come si risolve il caso precari? Bella domanda! Se avete suggerimenti per la risposta…».
Risposte non ce n’erano quando si poteva chiamarli precari, figurarsi adesso che bisogna chiamarli docenti a contratto o, come suggerito dal professore Luciano Granozzi, «ricercatori non strutturati mediamente trentacinquenni, con un dottorato di ricerca, un buon numero di pubblicazioni e una formazione anche in ambito didattico».
Il decentramento? Un investimento a perdere: «I consorzi ci devono 60 milioni di euro. Se consideriamo che nel 2010 avremo la possibilità di spendere 10 milioni di euro per le spese ordinarie, è lampante che se saldassero il debito avremo i soldi per altri sei anni di spese ordinarie del 2010. Vedremo a Ragusa se, per tempo, delibereranno su quali corsi scegliere di attivare, nella consapevolezza che possiamo permettercene soltanto due quinquennali, avendo 3,9 milioni di euro da destinare a quello scopo», taglia corto il Magnifico. Di Modica e Siracusa meglio non parlare: «Sono due discorsi chiusi definitivamente. Modica, inoltre, ci deve 7 milioni. Non discutiamone neanche, per carità!»
Alla fine del dibattito, i saluti dei presidi Enrico Iachello e Nunzio Famoso. Se per il primo «l’unica maniera per uscire dalla crisi è lavorare il doppio», nonostante il decremento del 30% dello stipendio dei presidi, per il secondo non c’è che da sperare «che la salute, almeno quella, non ce la tolga nessuno».
A modo loro, buon Natale ce l’hanno augurato.
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