Il rapporto tra new e old media è stato al centro di molti incontri del Festival Internazionale di giornalismo a Perugia. La crisi attuale e il futuro dei giornali di carta da una parte e l’avanzata trionfante dell’informazione su web sono state le tematiche più trattate. Diverse le previsioni e i punti di vista, tanti gli interventi a riguardo.
“L’unione fa la forza”, s’intitolava l’incontro di giovedì 2 aprile sulla newsroom integrata (carta, online, tv, radio, mobile) a cui hanno preso parte la nota firma inglese Charlie Beckett (direttore Polis London School of Economics), lo statunitense Eric Ulken (The Los Angeles Times), Marco Pratellesi (Corriere.it) Paolo Liguori (direttore TGCOM) e Giuseppe Smorto (Repubblica.it).
Smorto elenca due dei luoghi comuni più diffusi nel mondo dei giornali: da una parte“I giornalisti che scrivono per la carta stampata si sentono minacciati dalle nuove possibilità di fare informazione su web”, dall’altra “Gli editori credono che il giornalismo online sia un modo per risparmiare sui costi”. La verità è che lo stesso modo di lavorare è cambiato, l’approccio alle notizie del giornalista, anche quello della carta stampata, è stato stravolto dall’avvento dei nuovi media. “L’idea che il controllo dell’informazione passi direttamente per il lettore fa paura” – afferma Ulken. “Oggi la professione giornalistica è sempre più considerata un lavoro da desk”, soggiunge poi Pratellesi. “Bisogna tornare a fare il giornalismo pre internet, per strada, a contatto con la gente, con la realtà” continua auspicando una possibile integrazione tra new e old media. Non bisogna infatti dimenticare il ruolo fondamentale dei nuovi mezzi di comunicazione come strumenti essenziali a servizio dell’informazione.
Quale allora il futuro di questo mestiere? “Salvaguardare le regole del buon giornalismo senza prescindere da ciò che oggi il lettore chiede, ovvero notizie veloci, chiare e trasparenti”, la risposta di Beckett. “Bisogna rimettersi a studiare per far fronte alle nuove tecniche di informazione” suggerisce Smorto. “Siamo in una fase di transizione e tra dieci anni nulla sarà più come adesso” aggiunge poi Liguori che non manca di ribadire quanto oggi il pubblico conti e condizioni l’informazione. “La grande battaglia che stiamo combattendo sul futuro dell’informazione non è altro che una battaglia tra contenuto e mezzo”, continua il direttore del Tgcom.
Questa dicotomia deriva anche da un’altra frattura, quella esistente tra i cosiddetti immigrati digitali (persone che hanno vissuto prima dell’avvento delle nuove tecnologie) e i nativi digitali. L’informazione dovrebbe allora proporsi come una sintesi valida per entrambe le tribù ma “non esiste un modello unico .Ogni giornale dovrebbe trovare la propria strada di integrazione tra cartaceo e online” commenta Pratellesi. I ‘Supermedia’ sarebbero quindi la risposta immediata al futuro dell’informazione. Un solo aggettivo per descrivere le caratteristiche che distingueranno i giornalisti di domani secondo Liguori: “Flessibilità”.
Ma c’è anche un problema più generale che riguarda l’essenza stessa del fare giornalismo. La globalizzazione infatti settorializza l’informazione, la limita, la fa a misura dei propri fruitori e proprio per questo, in un certo senso, la falsifica. Di questo rischio e della possibile deriva dei media tradizionale si è discusso anche la terza giornata del Festival durante un confronto tra Gianni Riotta (direttore del Tg1 in attesa di trasferirsi a IlSole24Ore) e Jhon Lloyd (The Financial Times).
“Si è diffusa l’idea che la verità e l’obbiettività non esistano. Viviamo in un mondo di opinionisti in cui nessuno si preoccupa più di distinguere cosa è davvero “informazione”, l’intervento di Riotta venerdì al Festival. “L’autoreferenzialità, il narcisismo è oggi il peccato peggiore” continua il direttore facendo riferimento a realtà come i blog o i social network che alimentano questo tipo di informazione iperpersonalizzata, attirandosi così i fischi e le repliche accese di molti dei ragazzi seduti in platea.
Porre l’accento sull’importanza del pubblico senza sopravvalutarlo né sottovalutarlo, questo il messaggio più volte ripetuto dai due relatori. “I cittadini hanno il diritto-dovere di comprendere il mondo che li circonda e noi giornalisti dovremmo avere la certezza che chi ci legge voglia essere informato”, le parole conclusive di Lloyd, a ribadire l’importanza del giornalista quale filtro obiettivo della realtà.
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