Quant’è difficile informare sull’ambiente

Com’è possibile che il problema ambientale sfugga all’informazione? Perché se ne parla nei documentari, nei libri, e non lo si legge sui giornali? Perché si stendono veli sulla questione delle ecomafie? Queste alcune delle domande emerse durante il seminario “Il giornalismo di inchiesta ambientale”, tenutosi a Perugia in seno al Festival Internazionale del Giornalismo.

A parlarne Andrea Purgatori, giornalista e scrittore nonché moderatore dell’incontro, Silvie Coyaud, giornalista scientifica, Maso Notarianni, direttore di PeaceReporter, Carlo Vulpio, inviato del Corriere della Sera e Giuseppe Ruggiero regista del documentario Biùtiful Cauntri.

Un’occasione in più, questa del festival, per porre attenzione sui “fatti” delle ecomafie e dello smaltimento dei rifiuti delle Regioni, della corruzione e del nepotismo. “Fatti e non avvenimenti”, ci tiene a sottolineare Carlo Vulpio, “che riguardano il tema ambientale di cui spesso non viene fatta menzione sui giornali”. Infatti quasi nessun giornale o tv si carica del peso di parlare dei 142 milioni di tonnellate di rifiuti speciali scomparsi nel nostro Paese – secondo gli studi dell’Osservatorio Nazionale – in un arco temporale di ben nove anni; oppure dell’Ilva di Taranto, analizzata più e più volte da Legambiente. Il silenzio è consentito fino a quando non scoppia la “notizia” e anche in quel caso si cerca di coprire il letto con una coperta dai lembi troppo corti.

Succede che i “poteri forti” hanno le mani sull’informazione e così diventa difficile far trapelare le notizie. “Ci proviamo con i documentari – dichiara il regista dell’azzeccato “Biùtiful Cauntri” – a raccontare, sperando che non si inflazioni anche questo settore, perché almeno per ora qui le notizie passano”. Significativa la battuta scritta da Andrea Purgatori in “Fortàpasc”, riportata da Ruggiero durante l’incontro, “ci sono giornalisti-impiegati e giornalisti-giornalisti. Quest’ultimi portano le notizie nelle redazioni e le notizie sono rotture!”.

Dal dibattito emerge anche un sistema che offre ai giornalisti, nel migliore dei casi, la possibilità di scrivere sui temi dell’inquinamento per le appendici dei giornali; nel peggiore, la censura o il licenziamento. “Io sono stata cacciata dalla Rai e da Radio 24” afferma Silvie Coyaud, seduta ad un tavolo in cui tutti si sentono “dei cacciati”, perché in un periodo di crisi come questo “la divulgazione scientifica è un lusso e perciò si preferisce dare spazio allo spettacolo”. Insomma negli ultimi anni la questione ambientale è finalmente sotto i riflettori e sulle agende dei governi mondiali. Ma le risposte sono ancora deboli e non hanno raggiunto obiettivi ottimali. “Non ci sono editori puri e prolifera l’autocensura. Ma questa è anche colpa nostra, perché non pretendiamo da tutti i giornalisti che lavorino con “passione civile”, dote essenziale da possedere per intraprendere questa professione nel modo più etico possibile”, afferma con tono concitato Maso Notarianni.

Di risposte certe per il futuro non ce ne sono. Di certo c’è solo che i giornalisti che subiscono censura sui giornali, trovano nella scrittura di libri – come Vulpio con il libro “Roba nostra” – o nella realizzazione di documentari – come Ruggiero con il film “Biùtiful Cauntri” – un modo per veicolare le notizie. D’esempio negativo è la questione dell’Ilva – impianto siderurgico con emissioni di diossina fuori dai limiti consentiti, che ha reso la città di Taranto la più inquinata d’Europa – di cui fino a poco tempo fa l’opinione pubblica ignorava la gravità.

A renderci speranzosi sono le parole degli ospiti intervenuti tra cui la Coyaud e Ruggiero: “Noi guadagniamo davvero poco rispetto al giro d’affari che c’è intorno a determinate case farmaceutiche, giornali o case di produzione cinematografica, ma siamo orgogliosi di lottare per la verità, anche senza soldi”.

Stefania Oliveri

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